Turista consapevole, non massivoro

1 giugno 2012

Dall’inizio dei fenomeni turistici di massa le Alpi sono state interessate da usi banalizzanti e stereotipati della montagna, in relazione all’influenza posta dall’immagine (soprattutto pubblicitaria e mediatica, spesso legata alle “mode”) sul gusto e sul comportamento. La montagna, come background eroico-romantico, talvolta persino epico, di pubblicità e promozioni estemporanee (dall’acqua minerale agli orologi automatici, in linea con tutti i casi contenuti all’interno del volume “Le montagne della pubblicità” pubblicato nel 1989 dal Museo Nazionale della Montagna) è spesso diventata spazio d’uso e consumo di attività monotematiche, in territori privilegiati. Le classi dei fruitori-utenti massivori della montagna diventano legate a meccanismi di utilizzazioni turistiche di tipo urbano (la città spostata in montagna). Viceversa la popolazione locale – abitante del luogo – subisce tutti i problemi dello spaesamento (Salsa, 2007) trascritti persino come forme schizofreniche dell’abitare (Bonomi, 2011), legate alla difficoltà di costruzione di un’identità (neo)alpina e del come renderla compatibile con le forme dell’abitare contemporaneo. All’interno del contesto generale si devono tuttavia identificare diversità locali definite da meccanismi più o meno “predatori” dell’uso turistico della montagna – dai comprensori ski total ai piccoli impianti di innevamento. Nel primo caso l’uso intensivo e monotematico della montagna si è protratto, con una sorta di coda lunga, fino a oggi nell’affermazione di modelli di estensione progettuale (dagli impianti di innevamento alla costruzione di veri e propri centri urbani dello sci e dello shopping (per così dire s(ci)hopping) e di sovra-utilizzazione delle risorse ambientali, dagli impianti di risalita tradizionali alla costruzione di bacini artificiali per impianti di innevamento in luoghi desertificati, come il caso del bacino artificiale dello Sechszeiger-Pitzal (Tirolo).

Tutti questi aspetti si sono riflessi per lungo tempo nel modo di intendere la montagna anche al di fuori della cerchia degli utilizzatori massivori. Così, nella visione delle terre basse, legate alle prospettive urbane, le Alpi diventano un modello semplificato di un simbolo creato ad hoc, dove le trame occultano le dimensioni reali, complesse e stratificate. In poche parole si afferma lo stereotipo, che veicola la percezione, impoverita dai simboli e dalle utilizzazioni di consumo. La comprensione dello spazio montano diventa essa stessa banalizzata, dall’affermarsi di prospettive culturali semplificate – veicolate tramite mediatori sociali – di lettura collettiva.
Queste dimensioni non hanno interessato ovviamente tutti i luoghi alpini. Nelle aree in cui il turismo ha saputo, nel tempo, integrarsi con le funzioni locali e la vita tradizionale (pur innovandosi nel tempo) l’intero territorio ha guadagnato in termini di sviluppo equilibrato di sistema, con giochi a somma positiva. Il fatto che la dotazione di servizi dell’Alto Adige sia ottimale, con una dotazione minima di una scuola elementare per Comune, non è un caso, pur riconoscendo le dovute specificità (superficie amministrativa mediamente più ampia dei Comuni, specialità dello Statuto amministrativo, ecc.). Queste dimensioni si legano a una promozione sfaccettata delle risorse territoriali e del territorio nel suo insieme, comprendendo le diverse forme di ricchezza delle risorse tra loro interdipendenti, verso la costruzione di un’immagine esterna fondata sulla diversità e il riconoscimento/valorizzazione delle specificità locali.
Oggi questa dimensione, positivamente, si sta diffondendo anche verso altre realtà, aree prima escluse per mancanza di “vocazione”, o persino verso ex aree del turismo di massa. I motivi sono molti e tra loro interrelati. In primo luogo la necessità ambientale (riscaldamento climatico, prima di tutto) si lega ad esempio a una necessaria riconversione di molti ambiti, prima monofunzionali. Molte realtà del turismo invernale sono già oggi economicamente insostenibili, per anni poveri di neve come quello in corso, e lo diventeranno sempre di più. È stato calcolato che, come analisi di scenario pessimistico di lungo periodo, solamente le piste con altitudine e clima più favorevoli, saranno economicamente sostenibili in seguito al riscaldamento climatico. In secondo luogo, dal lato della domanda, si sta affermando sempre più un cambiamento del gusto e delle modalità di fruizione turistica, per alcuni segmenti di utenti molto più mirata, consapevole e multi-tematica rispetto al passato. Ciò si riflette, dal lato dell’offerta, alla proposizione di prodotti turistici maggiormente integrati con le ricchezze locali, in relazione alle possibilità poste dalle diverse stagioni e dai diversi luoghi, che in alcuni casi offrono prodotti anche molto specialistici, come le escursioni vegane nei boschi, o in modo più esteso le offerte del cosiddetto “turismo lento”. Una maggior sensibilità è condivisa anche dagli operatori, rappresentata fra le varie attività dalla nascita di associazioni di categoria “innovate” rispetto al passato, formate ad esempio da maestri di sci che cogliendo queste trasformazioni decidono di voler differenziare le loro competenze e capacità per far fronte ad attività di altro tipo e saper fruire al meglio delle risorse offerte dal proprio territorio. Nascono, in alcuni ambiti, anche nuove professioni come i casi di operatori turistici culturali legati alla proposizione e scoperta di itinerari e dei tanti patrimoni più o meno nascosti, o forme di ricettività e ospitalità “alternative” come alcune di quelle contemplate all’interno del progetto Luoghi. Alternative ma forse nemmeno più di tanto, se non per forme di adattamento più vicine alle esigenze e ai desideri inesplorati delle persone, a basso impatto ambientale. Che sia questo il filo conduttore da seguire nel futuro.
Giacomo Chiesa e Alberto Di Gioia

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