Tunnel ferroviari: le differenze tra Italia e Svizzera

31 agosto 2011

Si sentono spesso politici italiani domandarsi, a proposito dei problemi relativi alla Tav Torino-Lione, perché i grandi tunnel ferroviari sono realizzati senza problemi in Svizzera (riferendosi al Gottardo in fase di realizzazione e al già operativo Lötschberg) e trovano forte opposizione in Italia, e affermare che le problematiche ambientali sono all’incirca le stesse.  Se su quest’ultimo punto, tutto sommato, si può anche essere d’accordo, c’è invece un altro aspetto che non può essere dimenticato e che rende il paragone Italia-Svizzera assolutamente insostenibile. Si tratta della cosiddetta “politica dei trasporti”, ben diversa dalla “politica delle infrastrutture” tanto cara ai politici italiani di ogni schieramento. Le realizzazione dei sopracitati tunnel elvetici sono il risultato di un percorso avviato negli anni ‘90 con una serie di iniziative popolari (referendum), in particolare con la cosiddetta Iniziativa delle Alpi del 1994. L’Iniziativa delle Alpi si basa su tre pilastri:
1) la Confederazione protegge la regione alpina dalle ripercussioni negative del traffico di transito;
2) il traffico di merci attraverso la Svizzera deve avvenire su rotaia;
3) non può essere aumentata la capacità di transito delle strade.
Per realizzare questi obiettivi la Confederazione ha assunto delle misure che non sono soltanto quelle della messa a disposizione di nuova capacità di trasporto per trasferire le merci su rotaia, ma ha adottato importanti misure e strumenti finanziari per il trasferimento del traffico. Tra queste, fondamentale è stata l’introduzione della Ttpcp (tassa sul trasporto pesante commisurata alle prestazioni). Il principio della Ttpcp è semplice: ogni mezzo pesante circolante in Svizzera paga una tassa per ogni chilometro percorso e per ogni tonnellata trasportabile. In questo modo gli oneri e i danni causati dal traffico pesante vanno maggiormente a carico di chi li genera. I dati sull’applicazione della tassa in Svizzera sono positivi: dal 2001 si osserva una riduzione dei chilometri percorsi dai Tir e la Svizzera è l’unico paese alpino dove la quota merci trasportate su ferrovia è maggiore di quella delle merci trasportate su strada. Tuttavia è stato dimostrato come per il raggiungimento degli obiettivi di trasferimento modale non bastino i nuovi tunnel e gli attuali strumenti finanziari e legislativi, ma occorra ancora uno sforzo. Quella che può essere considerata un’efficace misura di accompagnamento è la Borsa dei transiti alpini (Bta). Essa funziona così: da un lato vi è una forte richiesta di attraversamento del territorio alpino con mezzi pesanti, dall’altro la regione alpina non può disporre di un’offerta illimitata di transiti. E’ quindi opportuno porre un limite alla capacità di transito (numero di passaggi di mezzi pesanti tollerato dall’ecosistema alpino) e creare una “borsa” che consenta di regolare domanda e offerta. Ebbene, non risulta che ci sia stato da parte dei governi italiani degli ultimi vent’anni alcun tentativo di introdurre misure simili o altre misure, anche minime, di politica dei trasporti finalizzate al trasferimento modale così come non c’è mai stata una reale intenzione di ratificare il Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi (attualmente unico strumento che mette un freno allo sviluppo autostradale e indica la via per il trasferimento modale nel territorio alpino). Se su questo i partiti del centrodestra si sono sempre opposti, non si può dire che quelli del centrosinistra (tranne un flebile tentativo dell’ultimo Governo Prodi) si siano impegnati più di tanto. E nei confronti della direttiva sull’Eurovignetta? Se guardiamo quale è stato ancora di recente l’atteggiamento del Governo italiano (e delle organizzazioni industriali e artigianali) e della Consulta per l’autotrasporto presieduta dal sottosegretario Giachino, anch’egli tra i maggiori sostenitori della Tav, è evidente che si sta andando nella direzione esattamente opposta a quella della Svizzera! Come non bastasse, alle manovre politiche italiane per ostacolare ogni tentativo della Ue rivolto al trasferimento modale vanno aggiunte misure come il raddoppio del tunnel autostradale del Frejus.  Paradossalmente i veri oppositori del Tav non sono tanto i valsusini quanto i politici succubi della lobby dell’autostrasporto, considerata un serbatoio di voti dalla destra, ma mai contrastata nemmeno dalla sinistra.  In definitiva, il paragone con la Svizzera potrà essere fatto quando anche il nostro Paese avrà almeno avviato alcune di queste politiche dei trasporti finalizzate al trasferimento modale. Dubito tuttavia che l’attuale classe politica italiana ci possa riuscire: molto più semplice investire in soluzioni “hard” come perforazioni, realizzazioni di gallerie, ponti e altre infrastrutture attraverso le quali far lavorare per qualche anno alcune imprese e mantenere posti di lavoro di bassa qualità, che tentare uno sforzo intellettuale per soluzioni “soft” di carattere organizzativo, normativo, fiscale che, tra le altre cose, creerebbero quelle condizioni al contorno minime perché progetti infrastrutturali di così elevato impatto e costo possano avere qualche chance di successo.
Francesco Pastorelli

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