Sogni nel cassetto

4 maggio 2017

Quali sono i sogni nel cassetto che si potrebbero avverare, le ambizioni e gli obiettivi per il medio e lungo periodo e le necessità di cambiamento che i Custodi della montagna avvertono? Quali richieste da avanzare al settore pubblico e privato e che possibilità di rilancio per il territorio ci potrebbero essere?
Il viaggio nel futuro di alcuni Luoghi della rete di turismo responsabile Sweet Mountains inizia in Valle Maira, dalla locanda occitana Lou Pitavin di Marmora. I gestori hanno fatto del km 0 uno dei punti cardine della loro proposta: il loro sogno nel cassetto si sviluppa da qui. Al Pitavin, in cucina e in tavola viene favorita l’offerta di prodotti genuini di stagione e la scelta della filiera corta, con l’intento di valorizzare le produzioni di prossimità, sostenere l’indotto locale e ridurre l’impatto ambientale dei trasporti. «Qual è il nostro sogno? – spiega Marco che gestisce la struttura insieme alla moglie Valeria Andreis –. Proporre agli ospiti un km 0 effettivo con frutta e verdura di valle. Coltiviamo un piccolo orto in prossimità della struttura, ma non è sufficiente a soddisfare le richieste della locanda e così siamo costretti ad acquistare frutta e verdura più in basso, a Dronero. Qui servirebbe un’attività agricola importante, portata avanti da un’altra famiglia. Anche se in valle ci sono buone opportunità da cogliere, temo che questo nostro sogno rimarrà chiuso nel cassetto».

Altri puntano sulle potenzialità della rete con l’intento di aumentare la propria visibilità e proporre, insieme ad altre strutture e ai loro gestori, un’offerta di qualità: una grande rete di ecoturismo nelle Alpi è più riconoscibile di un singolo esercizio. «In un periodo storico in cui il turismo leggero e responsabile, solidale, come mi piace definirlo, sta crescendo, la Val Pellice ha carte interessanti da giocarsi – spiega Luca che gestisce, insieme alla compagna Paola e alla figlia Gaia, Casa Payer, una cascina di pietra ristrutturata con la passione per la bioedilizia che si trova a 550 metri di altitudine, nei boschi sopra Luserna San Giovanni –. Abbiamo la possibilità di far conoscere il nostro territorio snaturandolo il meno possibile e siamo avvantaggiati dalla presenza e dall’eredità valdesi che rendono vive queste terre: non possiamo di certo dire che ci troviamo in una valle “dormitorio”. Mi piace definire la Val Pellice anarchica, nel senso che istituzioni, gestori e operatori turistici faticano ancora a unire le forze. Anche se sono convinto che nel momento in cui riusciremo a farlo, lavoreremo tutti meglio. E ci sarà spazio anche per altri». L’importanza di una rete territoriale forte è sentita anche da Roby, che da quasi trent’anni gestisce il Rifugio Willy Jervis nella Conca del Prà. «È importante che bassa e alta valle si sviluppino insieme, perché l’escursionista che arriva da noi per percorrere i sentieri legati alla storia e alla cultura valdesi oppure quelli della Gta deve trovare delle buone opportunità anche quando decide di scendere spostandosi in bassa valle».

Tra le richieste più sentite, c’è anche la necessità di declinare al futuro il proprio lavoro e di formalizzare la propria professione. «Sarebbe importante istituire un albo o comunque un ente che riconosca formalmente e raggruppi i gestori di rifugio – osserva Sylvie dal bancone del Rifugio Selleries, una delle strutture più conosciute della Val Chisone –. Un altro aspetto da non trascurare riguarda le gare di appalto e la durata dei contratti di gestione. Noi abbiamo un contratto di 9 anni + 9, ma riconosciamo di essere stati fortunati». «Infatti – continua Massimo –, molti nostri colleghi sono costretti a contratti che vengono rinnovati ogni anno, una forma che non consente di fare programmi. Purtroppo la mancanza di programmazione è sinonimo di cattiva gestione».
Daria Rabbia

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