Servizi ecosistemici. Chi paga?

7 giugno 2019

In natura esiste un’ampia offerta di Servizi ecosistemici (Se), e cioè quei beni e servizi legati agli ecosistemi che supportano il benessere umano. Sono stati classificati nel Millenium Ecosystem Assessment della Nazioni Unite, e poi ottimizzati nell’iniziativa della Commissione Europea chiamata Cices (guarda la classificazione on line). Oggi tale classificazione è diventata il riferimento per i sistemi nazionali di contabilità ambientale e per la mappatura dei servizi ecosistemici stessi. La classificazione Cices divide i Se in tre grandi categorie: i servizi di approvvigionamento (cibo, legname e acqua); i servizi di regolazione (controllo dell’erosione del suolo, purificazione dell’acqua, assorbimento dell’anidride carbonica); i servizi culturali (attività turistiche, ricreative, sportive e per l’appunto culturali).
Per ciò che riguarda i servizi di regolazione, ma la stessa cosa si potrebbe dire anche per quelli culturali, l’attuale organizzazione del mercato non ne consente la giusta remunerazione, e questo crea un sottodimensionamento dell’offerta rispetto alla domanda. Per fare un esempio pratico, se un proprietario di terreni non riceve alcuna remunerazione per mantenere delle aree aperte di nidificazione nel proprio bosco, quasi sicuramente lascerà che le piante si sviluppino naturalmente, chiudendo tutte le aree aperte. Con buona pace della nidificazione degli uccelli. Ecco il motivo per cui è importante che, nelle politiche e nei processi decisionali per la conservazione e la valorizzazione dei Se, si dia grande importanza allo sviluppo di strumenti economici innovativi in grado di motivare interventi attivi di gestione e, nello stesso tempo, internalizzarli, cioè trasformare le esternalità positive o negative della gestione di risorse naturali in ricavi o costi per i gestori delle stesse mediante una contrattazione privata. Invece ad oggi, per tornare all’esempio di prima, se è possibile porre limiti e divieti ai tagli delle foreste, non lo è per quanto riguarda la manutenzione delle aree di nidificazione.
Uno di questi strumenti economici innovativi a disposizione è il pagamento per i servizi ecosistemici (Pes), un meccanismo che permette ai produttori di fornire dei Se ben definiti e in forma continua nel tempo grazie ad un sistema di pagamento che viene effettuato dall’utilizzatore finale. I Pes, in Italia come nei paesi del sud Europa, sono fondamentali per migliorare una gestione delle risorse naturali tradizionalmente basata su vincoli e controlli e fondamentalmente priva di una visione di gestione attiva volta a garantire la multifunzionalità delle risorse. Con i Pes si potrebbero quindi aumentare le potenzialità di una buona gestione multifunzionale delle risorse naturali e il coinvolgimento degli attori locali.
I Pes sono stati definiti da Sven Wunder, del Center for International Forestry Research (www.cifor.org), come forme contrattuali tra almeno un fornitore (proprietario o gestore del terreno che, grazie al pagamento, si impegna a sostenere l’offerta di un ben definito Se), e almeno un beneficiario (che in assenza del Pes non sarebbe in grado di beneficiare del Se). Il rapporto tra i due soggetti è per ora su base volontaria, anche in Italia, ed è regolato da una transazione economica. In attesa di una normativa nazionale che ne regoli l’applicazione.
Alcuni esempi di questi Pes nel nostro paese si possono osservare negli interventi di manutenzione di aree naturali: pulizie, eliminazione di piante pericolose, piantagioni per la fissazione di Carbonio (le cosiddette “Kyoto forests”), creazione di aree pic-nic o punti di osservazione della fauna, percorsi attrezzati. Sono spesso interventi effettuati da gestori di aree forestali dietro pagamento di singole imprese o associazioni interessate ad un uso ricreativo, sportivo, educativo, culturale di aree naturali.
In ambito internazionale il caso più noto è quello legato ai pagamenti per “Reducing emissions from deforestation and forest degradation” (Redd), progetti promossi inizialmente nell’ambito del mercato non istituzionale degli investimenti di riduzione delle emissioni e successivamente ufficialmente inclusi nell’Accordo di Parigi del 2015, in attuazione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici. In estrema sintesi i pagamenti Redd prevedono che le comunità locali che si impegnano in progetti di difesa delle foreste siano compensate in misura corrispondente al valore delle emissioni evitate grazie alla protezione delle foreste esistenti.
Altro caso particolare di Pes è quello legato alla certificazione della buona gestione forestale secondo gli schemi del Forest Stewardship Council (Fsc) e del Program for the Endorsement of Forest Certification schemes (Pefc) (vedi numero di dislivelli di magghio 2019). In questo caso esiste una scelta volontaria da parte del proprietario nel proporre un’offerta di Se accanto al prodotto legno, ripagato dal sovrapprezzo di mercato legato alla certificazione dell’azienda e dei suoi prodotti e servizi. Non sempre l’incremento di prezzo è significativo, ma in genere l’azienda ricava un valore “reputazionale” dato dalla certificazione, che si concretizza nella possibilità̀ di avere un market share protetto, ovvero una clientela fidelizzata che vuole unicamente legname certificato. Questi vantaggi economici vanno calcolati al netto dei costi del proprietario forestale attuati per mettere in atto un sistema di gestione con uno standard che vada oltre quanto richiesto dalla legge.


I diversi strumenti per l’incentivazione dei Se

A fianco a questi casi di Pes “puri” vi sono poi numerosi esempi di “quasi-Pes”, in cui l’interazione tra offerente e beneficiario è invece condizionata da specifiche norme di legge. Un esempio ante litteram, ovvero sviluppato ben prima che si iniziasse a riflettere sul tema Pes, è quello del canone per la produzione di energia idroelettrica che il gestore di una centrale è chiamato a pagare alla comunità̀ del bacino imbrifero montano. Nel caso di questo “quasi-Pes” però, i beneficiari non sono i gestori dei terreni ma tutti i residenti locali rappresentati dai loro amministratori democraticamente eletti.
Un altro esempio è l’articolo 24 della Legge Galli (L. 36/1994) che sancisce che, per compensare il Se offerto dalla buona gestione dei bacini di captazione, una quota di tariffa pagata dai consumatori di acque potabili sia versata agli enti locali nel cui territorio ricadono le derivazioni per eseguire interventi di tutela e di recupero ambientali. La norma è di applicazione volontaria è stata applicata sistematicamente solo nella Regione Piemonte. Si tratta ancora una volta di un “quasi-Pes”, in quanto il fornitore del Se non viene direttamente compensato.
Altro esempio di “quasi-Pes” sono i pagamenti silvo-ambientali nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale della presente programmazione 2014-20 (Misura 15.1) e della precedente 2007-13 (Misura 225). Anche qui i pagamenti non sono effettuati dai beneficiari diretti ma dalla pubblica amministrazione, per interventi di miglioramento della biodiversità, della conservazione degli ecosistemi forestali di grande pregio, per il consolidamento della funzione protettiva e produttiva delle foreste in relazione all’erosione del suolo, all’assetto idrologico, al cambiamento climatico, alla qualità̀ delle acque e alle calamità naturali. Misure simili che hanno attivato forme di pagamento di Se sono quelle relative alle aree Natura 2000 e all’applicazione della Direttiva-quadro sulle acque (Misura 12) e i pagamenti per servizi agro-climo-ambientali (Misura 10). Va rilevato però che in questo caso, tra la farraginosità̀ delle procedure amministrative e il ridotto ammontare del pagamento, l’applicazione di questi “quasi-Pes” è stata per ora molto contenuta.
Il legislatore italiano si è comunque attivato rispetto alla normativa sui pagamenti per i Se, e i Pes sono stati formalmente introdotti nell’ordinamento giuridico italiano grazie all’articolo 70 del Collegato ambientale della Legge di Stabilità del 2015 (D.L. 28 dicembre 2015). Manca però a tutt’oggi il decreto attuativo, e quindi per ora la legge non ha effetti concreti. L’articolo 70 di inquadramento della materia afferma che, tramite l’emanazione di uno o più̀ decreti (che ripetiamo, sono ancora mancanti), senza oneri aggiuntivi per lo Stato, “siano in ogni caso remunerati i seguenti servizi: fissazione del carbonio delle foreste e dell’arboricoltura da legno di proprietà demaniale, collettiva e privata; regimazione delle acque nei bacini montani; salvaguardia della biodiversità delle prestazioni ecosistemiche e delle qualità̀ paesaggistiche; utilizzazione di proprietà demaniali e collettive per produzioni energetiche”. Se questa norma dovesse essere applicata alla lettera, non meno di un terzo del territorio nazionale dovrebbe essere oggetto di una serie diversificata di pagamenti, dal momento che la gran parte delle foreste italiane hanno, infatti, un ruolo positivo nella fissazione di anidride carbonica, nella regolazione del ciclo dell’acqua e nella tutela della stabilità dei suoli.
Il più recente D.Lgs. del 3 aprile 2018, n. 34 (Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali, Tuff) al comma 8 dell’art.7 stabilisce che le Regioni “promuovono sistemi di pagamento dei servizi ecosistemici ed ambientali generati dalle attività di gestione forestale sostenibile e dall’assunzione di specifici impegni silvo-ambientali informando e sostenendo i proprietari, i gestori e i beneficiari dei servizi nella definizione, nel monitoraggio e nel controllo degli accordi contrattuali”. Si tratta quindi non di una assunzione diretta di responsabilità̀ nel pagamento, ma di una affermazione del ruolo della pubblica amministrazione come animatrice e garante dei rapporti contrattuali che si vogliono favorire.
Davide Pettenella e Giorgia Bottaro, Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali – Università di Padova

Nessun commento.

Replica








Web design e sviluppo: Resonance