Rifugiati in baita

3 aprile 2019

È possibile mettere in relazione il problema dello spopolamento e dell’abbandono delle aree marginali italiane con le migrazioni a livello globale? Una tesi di laurea in Architettura discussa al Politecnico di Torino sotto la supervisione dei relatori Roberto Dini e Silvia Crivello ha messo in luce come queste problematiche – seppur appartenenti a scale molto diverse – possono influenzarsi vicendevolmente ed essere l’occasione per lo sviluppo di progettualità di natura transcalare che possono trovare soluzioni locali a problemi globali e viceversa.
I limiti che in passato determinavano l’identità della città oggi si stanno dissolvendo grazie ai sempre più semplici e veloci scambi di informazioni e movimenti di persone tra la stessa e il suo intorno. Questo neutralizza l’identità della città e rende necessario uno sguardo più ampio delle politiche e dei progetti che la coinvolgono, uno sguardo che arrivi fino ai margini. All’interno dei margini si sta sviluppando una situazione analoga a quella dei centri. Si punta lo sguardo solamente verso il centro – del margine – non guardando verso l’esterno e si cerca in tutti i modi di rafforzare la propria identità per attirare attenzioni dall’esterno. Le città e i margini devono cominciare a guardare al di fuori, allargando il proprio campo visivo.


La borgata di Coletta vista dal drone

L’ipotesi dell’accoglienza diffusa dei rifugiati e richiedenti asilo in una di queste aree ai margini viene da questo assunto. Allargare lo sguardo verso l’esterno e aprirsi alle alterità può risvegliare dal torpore questi luoghi. L’ospitalità può essere il volano per la ripresa dei margini e far voltare lo sguardo verso di loro. L’accoglienza dei rifugiati in queste aree ha bisogno di un programma, di politiche specifiche e di azioni che aiutino l’inclusione sociale degli stessi, che facciano avvenire la metamorfosi da ospite ad ospite. Azione fondamentale è l’inserimento nel mondo del lavoro dei nuovi abitanti, lavoro necessario alla sopravvivenza delle aree marginali del territorio italiano e che può donare alle stesse un importante capitale di innovazione sociale, perché è proprio lo scontro tra culture differenti in una debole struttura sociale come quella dei margini a stimolare la creatività. Scontro che deve essere mediato dalla presenza delle associazioni del terzo settore che facciano da mediatori culturali tra le popolazioni natie e gli stranieri. Fondamentale è la realizzazione di strutture abitative adeguate sia all’accoglienza nelle prime fasi, sia alla permanenza stabile sul territorio, quindi con configurazioni flessibili che permettano in futuro l’abitare di nuclei famigliari differenti. Nel caso della borgata di Coletta e del territorio di Castiglione d’Ossola, l’inserimento nella comunità di alcuni migranti, può essere d’aiuto per la preservazione di quel paesaggio costruito che caratterizza la Valle tanto caro agli abitanti del luogo. Inoltre, la presenza di animi giovani e intraprendenti all’interno della borgata che hanno in serbo per il futuro progetti di sviluppo turistico e per nulla ostili alla presenza di collaboratori, potrebbe far sì che i nuovi arrivati siano coinvolti in attività ricettive.


Assonometria da Sud Ovest

Alla base del progetto di architettura è quindi la dualità del rapporto tra vecchio e nuovo. Alla permanenza degli abitanti di questi luoghi, ultimo baluardo di una società che sta scomparendo, è affiancata la temporaneità dei nuovi abitanti provenienti da terre lontane. Come i vecchi abitanti anche le architetture in pietra, segno ineluttabile del tempo, assisteranno alla nascita delle nuove architetture. Queste ultime andranno a porsi all’interno di tre ruderi, in modo tale che essi gli facciano da basamento e rimangano come testimoni del tempo passato. La morfologia dei nuovi edifici segue le regole dettate da quelli che li hanno preceduti, infatti il ritmo degli edifici esistenti viene analizzato e metricamente scomposto per capirne i rapporti. La realizzazione di un quarto volume risolve due questioni fondamentali: la distribuzione e la necessità di spazi privati all’interno del vivere comune, ricavati tra il vano scala e i ballatoi. Nel progetto è presente una marcata caratterizzazione della successione degli spazi. Si passa dall’ambiente esterno all’interno del blocco distributivo, primo accenno all’ambiente domestico. La distribuzione orizzontale esterna coperta è seguita da un piccolo spazio di decompressione marcato da una soglia, utile a mitigare la transizione tra interno ed esterno. Ambiente interno che nonostante i suoi spazi minimi, prima di essere rifugio o asilo, è una casa per gli ospiti, una garanzia di permanenza. Garanzia necessaria sia agli ospiti che ai margini, aree dove chi permane è sempre meno numeroso e indebolito da chi fugacemente osserva con stupore e con altrettanta celerità corre via.
Matteo Tempestini

Chi fosse interessato può trovare un estratto della tesi al seguente indirizzo: https://issuu.com/matteoo/docs/matteo_tempestini_tesi
Per avere la versione integrale rivolgersi direttamente all’autore: matteo.tempestini1@gmail.com

Info: www.polito.it/iam

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