Quando una valle si organizza

1 febbraio 2016

Il progetto consiste in una rete di accoglienza che si estende su tutto il territorio della Valle Camonica e della provincia di Brescia. Comprende diverse iniziative, sia dentro che fuori dal Sistema centrale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), ma tutte con standard equivalenti a quest’ultimo. E questo è un aspetto non scontato, nemmeno all’interno della rete Sprar stessa, che negli ultimi anni è triplicata e ha visto l’entrata di nuovi soggetti con poca esperienza. I servizi offerti includono: vitto; alloggio in diverse strutture, principalmente piccoli appartamenti da 4 o 5 persone (vedi tabella 1); assistenza legale e sanitaria; accompagnamento ed orientamento sui servizi presenti sul territorio; percorsi di formazione, volontariato ed inserimento lavorativo; corsi di italiano (maggiori informazioni sul progetto di micro-accoglienza sono riportati in questi contributi: Erba P., Pennacchio E., Turelli S., La valle accogliente, Emi 2015; Semprebon M., Marzorati R., Bonizzoni P., Politiche locali e modelli di governance fra inclusione ed esclusione: Il governo locale delle migrazioni nei piccoli Comuni della Lombardia, 2015;Balbo M., Immigrazione e piccoli comuni, Franco Angeli 2015).
Il progetto ha acquisito visibilità in seguito alla cosiddetta emergenza Nord-Africa, durante l’estate del 2011, quando un centinaio di richiedenti asilo sono stati accolti, previo accordi con la Prefettura di Brescia, a Montecampione (località montana della Valle Camonica, a 1800 metri di altitudine). L’accoglienza, da parte di un privato, in una struttura alberghiera abbandonata si è rivelata immediatamente inadeguata, per la mancanza di servizi, la lontananza dai centri abitati e la mancanza di accesso all’assistenza medica e legale. Il caso ha fatto scalpore nella stampa nazionale ed internazionale. È in questo scenario che la Cooperativa Sociale K-Pax e l’Associazione Adl Zavidovici di Brescia hanno organizzato il trasferimento dei richiedenti asilo in strutture più idonee, in collaborazione con il Forum provinciale del terzo settore, Cgil, Asl, Comunità Montana, e 11 Comuni.

Va sottolineato che il progetto nasce in un territorio caratterizzato da una forte tradizione di impegno sociale. K-Pax è partner operativo della rete Sprar ed opera a Breno, comune montano di circa 5000 abitanti, dal 2008. È una costola laica di Casa Giona, comunità alloggio creata dall’ex parroco del paese, per ospitare soggetti con disagio sociale e, successivamente, richiedenti asilo. Va anche sottolineato che il progetto è stato attivato prima dell’esperienza di Montecampione, in contro-tendenza rispetto all’approccio emergenziale che prevale nelle politiche di accoglienza in Italia. Nell’aprile del 2011, infatti, il Comune di Malegno ha accettato, come primo comune della valle e della provincia di Brescia, di aderire alla rete, ospitando sul proprio territorio un gruppetto di richiedenti asilo.
Da quando è nata, la rete di micro-accoglienza è cresciuta notevolmente ed è cresciuta ancor di più nel marzo 2015, con la sottoscrizione di un accordo, tra provincia di Brescia, associazione dei comuni bresciani, Comunità Montana di Valle Camonica e 46 comuni bresciani. Si tratta di un risultato molto importante, frutto dell’impegno di K-Pax, ma anche di molti volontari, nonché della coraggiosa collaborazione di alcuni comuni. Questi ultimi hanno aderito al progetto nonostante il clima di resistenza (all’accoglienza) che si è registrato, soprattutto a partire dall’estate 2015, in un territorio che ha visto gravi episodi di intolleranza e razzismo. Alcuni esempi: nel 2015, a Stadolina di Vione, in Alta Val Camonica, ci sono state proteste ad opera di attivisti di Casa Pound, per la presenza di 8 richiedenti asilo ospitati presso strutture private, nonostante il loro arrivo non avesse creato nessun tipo di disagio. Nello stesso anno a Temù la Lega Nord ha organizzato un corteo di protesta. Nel 2014 c’è stata una manifestazione, ribattezzata “lago nostrum”, sulle sponde del lago d’Iseo, che ha visto un gruppo di attivisti di Casa Pound gettare dei manichini neri da una barca.
Oltre al progetto di micro-accoglienza, K-Pax si è fatta promotrice, a Breno, di altre iniziative innovative, tra cui l’apertura della Soffitta del re, un negozio dell’usato (aperto a tutta la comunità), e la ristrutturazione e ri-apertura dell’Hotel Giardino. Con l’hotel ha saputo valorizzare la vocazione turistica del territorio e creare posti di lavoro per residenti italiani e per alcuni beneficiari dei progetti Sprar (e non), che sono diventati protagonisti attivi della micro-accoglienza. Il loro protagonismo è evidente anche nel loro diretto coinvolgimento in seminari informativi sul tema delle migrazioni, organizzati puntualmente per la cittadinanza, e nel Festival “Abbracciamondo”, una rassegna di eventi interculturali, organizzata ogni anno, dal 2007, su tutto il territorio della valle, con la collaborazione di più di 20 soggetti pubblici e privati.
L’esperienza della Valle Camonica e della provincia bresciana è certamente un esempio progettuale virtuoso di come un territorio periferico abbia saputo trasformare un problema, associato all’arrivo disorganizzato di un centinaio di richiedenti asilo, in una risorsa, con il rafforzamento di una rete di accoglienza che ha coinvolto realtà del terzo settore ed enti locali. A questi ultimi non è stato richiesto nessun contributo economico, essendo i costi già coperti da fondi del Ministero degli Interni, ma solo un’adesione formale e (possibilmente) la collaborazione nella ricerca di alloggi. Vale la pena di ricordare che nello scenario italiano, la scelta dell’accoglienza da parte dei comuni è tuttora volontaristica e l’adesione formale da parte degli stessi è di per sé positiva. Tuttavia, in un’ottica di lungo periodo, si ritiene che la loro collaborazione dovrebbe diventare più fattiva. Considerando che sono i comuni ad essere responsabili dei servizi sociali, è auspicabile che si assumano maggiore responsabilità della presenza dei richiedenti asilo sui rispettivi territori. Questo può tradursi non necessariamente nella messa a disposizione di risorse economiche ma, per esempio, nel diretto coinvolgimento dei propri assistenti sociali nei percorsi di accoglienza, per evitare lo sviluppo di un canale di welfare parallelo e per favorire quindi un pieno inserimento sociale dei richiedenti asilo.
Michela Semprebon, Sociologa – Alma Mater, Università di Bologna, Dipartimento di Science Politiche e Sociologia

www.k-pax.eu

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