Le radici del sapore

6 luglio 2016

Gianni Castagneri, Le radici del sapore. L’identità alimentare delle Valli di Lanzo, Editori il Risveglio, 2016

Il libro di Gianni Castagneri ripercorre la storia alimentare di una porzione alpina avvalendosi di documenti d’archivio, di testimonianze e del bagaglio culturale dell’autore, abitante di queste terre alte. Giungendo fino ai nostri giorni, l’autore ci dimostra il legame indissolubile tra il cibo e le comunità umane che vengono plasmate anche da ciò che si mangia, come ci hanno fatto riflettere il filosofo Feuerbach prima e l’antropologo Lévi-Strauss in seguito. Oggi, poi, il cibo è particolarmente importante nello scambio tra culture, facendo sì parlare di identità ma ancor più di ibridazione e di contaminazione.
Quante volte, infatti, una cultura viene “scoperta” mediante un approccio culinario, e quanto il cibo è la chiave di accesso per conoscere e per comprendere un vissuto?
Uno dei filoni su cui si sofferma il libro è la caratterizzazione della cucina delle Valli di Lanzo partendo dai suoi elementi/alimenti fondamentali: il latte derivato dall’allevamento ovicaprino e bovino e suoi derivati, i cereali “duri” – quelli resistenti alle basse temperature quali la segale, dal cui imbastardimento con il frumento si otteneva tra l’altro il barbariato, semina autunnale particolarmente forte – e il mais ad altitudini meno elevate; la (poca) carne, perlopiù sottoposta a un processo di essiccazione o di insaccatura, per poter essere conservata preziosamente; le patate. Questi hanno dato vita a specialità ad oggi apprezzate quali eccellenze gastronomiche come la toma di Lanzo; si pensi poi ai prodotti da forno (i torcetti sono noti a tutti), sicuramente la loro preparazione ha origini antiche ma fino a non molti decenni fa erano destinati al consumo rituale in momenti calendariali particolari.
L’altro filone riguarda le relative tecniche e la particolare tecnologia che caratterizzavano i saper fare tradizionali legati alla trasformazione del cibo, che ancora oggi sono rintracciabili nei manufatti della cultura materiale, rivivono in particolari occasioni e sono oggetto di recupero e di ripristino per ” far rivivere la vita di un tempo”.
Se attualmente è in corso un recupero dei cibi tradizionali, pregiati per qualità organolettiche rispetto a quelli industriali, occorre ricordare che l’alimentazione di un tempo era pur sempre diversa in quanto alla qualità di questi alimenti si anteponeva la scarsa quantità. Le famiglie montanare ben sanno la penuria di cibo, non mancano quindi trattazioni riguardanti alimenti oggi considerati tabù, come il gatto, o ancora le vipere, mentre trote, rane e lumache sono allora come oggi considerate specie alimentari e “tipiche” del panorama piemontese non solo alpino.
Un uso consapevole in cucina che oggi rinasce a vita nuova con un interesse esploso in pubblicazioni e volumi è quello delle erbe spontanee commestibili, mentre la castagna è stata la vera fonte di introito calorico per numerose famiglie e per lungo tempo, tant’è che la castanicoltura è annoverata quale forma culturale specifica, e seppur non più alla base della piramide alimentare non dimentichiamoci quanto è stata messa in ginocchio pochi anni fa dall’arrivo nefasto della vespa cinese.
Infine, i “surrogati”: anch’essi organoletticamente importanti, quali il miele al posto dello zucchero e l’olio di noce quale condimento alternativo al burro.
Ciò che mancava sulle tavole dei montanari delle Valli di Lanzo, come il sale, veniva fornito mediante scambi commerciali o il contrabbando con la Savoia (i contatti avvenivano con più facilità al di qua e al di là dello spartiacque, che non con la pianura); ma anche le acciughe e il riso scavalcavano colli e oltrepassavano pianure per entrare nella dieta alpina e variarla.
Da non dimenticare, poi, il momento di scambio per antonomasia: il mercato. A Lanzo, sin dall’epoca medievale il centro del commercio principale, si svolgeva due volte a settimana; successivamente, altri mercati erano condotti a Ceres, Viù e Usseglio.
Fin qui si è parlato di un tempo che fu, dove l’autosussistenza era alla base della produzione alimentare dei montanari: si mangiava lo stretto necessario e il di più, oggi per noi il cibo quotidano come i dolci, erano demandati a feste e ricorrenze.
Dall’Ottocento al Novecento però le valli alpine conoscono prima la miseria poi la scoperta turistica; il modello del passato fu visto come superato e la prima a risentirne fu la cucina, non ritenuta dignitosa di comparsa nei menù dei numerosi alberghi frequentati dai torinesi.
Oggi, una coscienza dei luoghi e delle loro differenze, più che un’identità, ha permesso che movimenti di persone attente alla propria cultura, scissa nei suoi vari aspetti, potessero riappropriarsi di gusti e sapori. Si può dire che la cucina sia l’elemento culturale che più di tutti non soffre di un volgersi al passato ma guarda al futuro e allo stare bene, non solo fisicamente, se è vero che è dalle colture e dal rurale che passa anche una nuova vita delle terre alte.
Il libro è acquistabile al prezzo di 10 euro contattando la “Editori il Risveglio” (via Roma, 4, 10073 Ciriè. Tel. 011/9211800. Mail: redazione@ilrisveglio-mail.it) ed è possibile riceverlo via posta con pagamento su conto corrente postale o bancario di 2,00 euro.
Maria Anna Bertolino

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