Le piste da sci minacciate dai cambiamenti climatici

8 marzo 2018

La situazione del settore sta peggiorando. Le grandi cime calcaree delle Dolomiti brillano di ocra e rosa nel tramonto estivo. La lastra del ghiacciaio della Marmolada, la “Regina delle Dolomiti”, luccica di un bianco regale. Ma se ci si avvicina il sovrano piange. Innumerevoli rivoli di acqua di disgelo scorrono lungo il suo viso.
Il ritiro della Marmolada è straziante. Così è ciò che lei lascia alle spalle: munizioni, filo spinato, cumuli di baracche e altri detriti della prima guerra mondiale in cui i soldati italiani e austro-ungarici combattevano per il controllo delle altezze. Mentre il ghiacciaio si è ridotto, di più della metà dal tempo della guerra, la sua capsula del tempo viene aperta. La scorsa estate il ghiaccio ha abbandonato una bomba inesplosa. A volte porta anche soldati morti. Uno è apparso nel 2010. Un altro è emerso la scorsa estate sul ghiacciaio dell’Adamello più a ovest. Gli archeologi descrivono come il ghiaccio, nelle sue tasche, conserva non solo gli oggetti di guerra ma anche il suo odore, dal grasso delle teleferiche militari ai vecchi crauti.
Poi ci sono i resti di un tempo spensierato, quando i crepacci divennero discariche durante la costruzione di funivie e impianti di risalita negli anni ‘50 e ‘60. Con il suo “ascensore” più alto che raggiunge i 3265 metri, la Marmolada era un luogo per lo sci estivo. Quel divertimento è finito nel 2003 a causa dell’aumento delle temperature e dei costi. Lo stesso sta accadendo ad altri ghiacciai.

I gas serra emessi dall’inizio della rivoluzione industriale hanno finora riscaldato il mondo di circa 1° C, in media. Ma l’effetto è stato maggiore sulle Alpi, la catena montuosa più visitata per gli sport invernali, che si è riscaldata di circa 2° C. La variazione è stata più intensa in estate, motivo per cui il ghiacciaio della Marmolada si è sciolto così velocemente. Sempre più spesso, però, il riscaldamento globale sta interessando anche la neve e il ghiaccio degli inverni, con profonde conseguenze per l’industria degli sport invernali che ha portato la ricchezza nelle valli alpine.

Daniel Scott dell’Università di Waterloo, Robert Steiger dell’Università di Innsbruck e altri, hanno esaminato il fenomeno del riscaldamento globale futuro nel contesto delle città scelte per ospitare i Giochi olimpici invernali, da Chamonix nel 1924 a Pyeongchang in Corea del Sud nel 2018 a Pechino nel 2022. Anche se le emissioni sono state ridotte per raggiungere l’obiettivo dell’accordo sul clima di Parigi del 2015, solo 13 dei 21 Paesi sembrano essere abbastanza freddi da ospitare gli sport sulla neve negli anni 2050. Con emissioni elevate, il numero scenderebbe a solo otto nel 2080. La vista degli elicotteri che scaricano neve sui siti olimpici di Vancouver 2010 potrebbe essere un anticipo di futuro.
Lo sci comportava ore di difficile salita a piedi o in sci per pochi minuti di discesa. L’espansione è arrivata con gli impianti di risalita meccanica e il boom economico del dopoguerra. Con il “Piano di neve” del 1964 la Francia ha creato una rete di resort ad alta quota per attirare turisti stranieri e prevenire lo spopolamento delle valli alpine. Portato dai norvegesi, lo sci ha catturato anche il Nord America. Le località di Vail e Aspen in Colorado, nate come città minerarie, sono state trasformate in località sciistiche dai veterani della 10a divisione di montagna. L’espansione è continuata in decenni di neve abbondante neve e le montagne possono ancora pensare a grandi investimenti, come hanno scoperto i delegati al World Economic Forum di Davos quest’anno. Ma le tendenze a lungo termine fanno riflettere. Christoph Marty dell’Institute for Snow and Avalanche Research di Davos nota che la neve arriva più tardi e si scioglie prima, e il manto nevoso si assottiglia. Entro la fine del secolo ci sarà poca neve nelle Alpi sotto i 1200 metri, e molto meno addirittura sotto i 1800.
Tratto da “The Economist”, 29 gennaio 2018 (traduzione di Chiara Mazzucchi)

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