La Val Pellice: essere alpigiani per nascita e per scelta

30 maggio 2014

In Val Pellice l’alpicoltura è una pratica plurisecolare: le prime fonti scritte relative agli alpeggi della valle risalgono al XII secolo, quando le terre appartenevano ai Signori di Luserna che le affittavano all’Abbazia di Staffarda. A partire dal XVI secolo i Comuni riscattarono i pascoli d’alta quota e gli abitanti della valle iniziarono a usufruirne direttamente attraverso forme di affitto e di gestione modificatesi nel tempo.
Fino agli anni ’50 del ’900, come risulta da fonti scritte e orali, più famiglie si univano in una “partìa”, una sorta di società che sfruttava collettivamente gli alti pascoli, di proprietà comunale, dividendosi compiti e proventi. Ogni “partìa”, infatti, aveva un “capo”, che ne controllava le attività, un addetto alla lavorazione del latte e pastori che si occupavano dei bovini e degli ovicaprini. Il formaggio prodotto veniva conservato per l’intera permanenza in alpeggio e diviso fra le varie famiglie solo al momento della discesa, secondo un calcolo che prendeva in considerazione il numero di capi monticato dalle singole famiglie e la loro produttività.
Il sistema delle “partìe” è entrato in crisi dagli anni ’50-’60, in concomitanza con un periodo di forte spopolamento dell’alta valle e di progressivo abbandono delle attività agro-pastorali da parte della maggioranza della popolazione. Tuttavia, le difficoltà sono state in parte superate dalla “resistenza” di alcuni allevatori e dall’intervento dei Comuni che, soprattutto dagli anni ’80, decisero di investire sui propri alpeggi facilitandone la fruizione (ad esempio con l’elettrificazione delle strutture, la dotazione di acqua potabile, la ristrutturazione o anche la costruzione ex-novo di stalle e caseifici e la costruzione di strade carrozzabili). Queste migliorie hanno avuto un peso decisivo nel consentire la prosecuzione o la ripresa dell’attività di alcuni allevatori locali. Attualmente in tutta la Val Pellice sono utilizzati 18 alpeggi, di cui 13 collocati nei comuni di Bobbio e Villar; molte delle aziende coinvolte nella loro gestione sono aziende famigliari multi-generazionali; risultano proporzionalmente numerosi gli under 30, e anche gli under 20, che hanno scelto di proseguire, spesso innovandola, l’attività famigliare.

Un aspetto certamente caratteristico della valle è che gli alpeggi appartengono tuttora ai Comuni e gli allevatori residenti (che talvolta sono anche proprietari di alcune strutture d’alpeggio) hanno un diritto di prelazione sul loro affitto. Questo sistema ha favorito le famiglie pastorali locali che, pur essendo andate incontro a importanti mutamenti socio-demografici e a diverse difficoltà, mantengono tuttora un peso centrale.
Questo costituisce un aspetto peculiare della valle che, a differenza di quanto accaduto in aree limitrofe, non è stata interessata da uno sfruttamento intensivo, rapido e spesso scriteriato dei pascoli alpini da parte di speculatori provenienti dalle pianure. Parallelamente, a differenza di quanto avviene in altre aree dell’arco alpino italiano – dove il rilancio della pastorizia e dell’alpicoltura è talvolta legato all’attività di neo-pastori provenienti dall’esterno – in Val Pellice per il momento non si registra questo fenomeno. Al contrario, come accennato, sono piuttosto numerosi i giovani locali coinvolti in attività agro-pastorali scelte e condotte con evidente passione.
Proprio questo aspetto ci consente una considerazione conclusiva: negli ultimi anni, si è giustamente prestata attenzione ai “neo-montanari” e alla loro decisione di trasferirsi a lavorare e vivere nelle Alpi. Si è così creata un’implicita contrapposizione tra montanari per scelta e montanari per nascita, giudicati a volte meno innovativi e consapevoli. Il caso dei pastori della Val Pellice, al contrario, sembra mostrare come proprio l’origine locale, connessa ad una consolidata tradizione famigliare e ad una forte passione per il proprio lavoro, oggi costituisca una risorsa fondamentale per scegliere (in modo tutt’altro che passivo) di rimanere a vivere e lavorare in montagna.
Giulia Fassio e Enzo Negrin

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