La comunità rumena a Pragelato

31 gennaio 2016

I noti “corsi e i ricorsi della storia” si ripresentano anche a Pragelato, territorio di alta montagna il cui passato racconta di invasioni saracene, di Glorieuse Rentrée seguita a una meno gloriosa fuga per questioni religiose, di emigrazioni stagionali soprattutto verso la Francia, ma un po’ ovunque in Europa fino al Sud America.
I primi rumeni arrivano agli inizi degli Anni Ottanta e trovano lavoro come operai nel settore edile entrando in punta di piedi nella comunità pragelatese. Soltanto più tardi, come nella buona tradizione, porteranno con sé le loro famiglie. Pragelato li accoglie con la diffidenza tipica della gente di montagna, memore nello stesso tempo di un passato da “migrante” con il dna impostato all’accoglienza. Non è forse stata la tipica accoglienza mediterranea, calorosa e chiassosa, bensì quella montanara, dapprima un po’ sospettosa e discreta, ma poi cordiale e generosa.
L’avventura olimpica ha determinato un ulteriore incremento degli arrivi dalla Romania, per un’esigenza temporanea di manodopera tanto è che alla Scuola Primaria “Remigio Bermond” di Pragelato i bambini frequentanti i corsi durante l’anno scolastico 2005/2006 furono 31, di cui 16 italiani e 15 rumeni. Al 31 dicembre 2015, si registra un lieve calo di presenze rumene: su un totale di 776 residenti, i rumeni sono 200 rappresentando comunque il 25,7 % della popolazione residente. Una presenza che continua a essere altamente significativa e rilevante.

La storia di questa integrazione è simile a molte altre, per lo più pacifica e senza grossi problemi relazionali, storia di matrimoni misti, pochi, di ottime relazioni interpersonali, di amicizie e di buona e cordiale convivenza. L’integrazione non è mai un processo sociale veloce e infatti, dopo 35 anni dai primi arrivi la comunità rumena ha ancora la sua forte identità e rappresenta un gruppo a se stante di persone che ormai conoscono bene l’italiano (alcune non tradiscono inflessioni né accenti stranieri), si muovono con disinvoltura all’interno della comunità pragelatese, probabilmente non si sentono più 100% rumeni, ma neanche totalmente italiani. Le nuove generazioni faranno presto la differenza, ragazzi nati in Italia oppure arrivati a Pragelato ancora in fasce: poche settimane fa, nel mio ruolo di sindaco, ho conferito la cittadinanza italiana a una ragazza rumena che, a seguito di scelte di vita molto serie e molto convinte, ha “abbracciato” come unica cittadinanza quella italiana. Anche i figli di coppie totalmente rumene sono oggi figli di Pragelato, di una terra che li ha accolti, che ha accolto i loro genitori e che attualmente rappresenta il loro paese. Essi sono Pragelatesi come lo sono i Pragelatesi doc e certamente, oltre ad essere il presente di Pragelato, saranno anche il futuro di una comunità moderna composta da individui di diversa provenienza. E questa è senza dubbio una ricchezza. Un migliaio di anni fa, alcuni dei saraceni provenienti dall’Africa attraverso la Spagna, arrivati sulle nostre montagne, non sempre molto ospitali a quei tempi, si saranno certamente fermati. Lo dimostrano la carnagione olivastra di molti pragelatesi, la presenza di numerosi canali di irrigazione la costruzione dei quali era consuetudine e impronta di quel popolo, alcuni toponimi come Rif, frazione oggi completamente disabitata, e probabilmente anche l’etimologia di alcuni lemmi della parlata provenzale alpina di Pragelato. Substrati e sostrati si incontrano e si scontrano dando vita a realtà sociali estremamente interessanti e vivaci.
Nelle recenti elezioni comunali di maggio 2014 a Pragelato, una delle due liste concorrenti presentò una candidata di origini rumene e cittadina pragelatese da qualche anno ormai; questa novità fu indicativa di significativi cambiamenti sociali in atto e di una volontà di essere parte integrante di una comunità, elemento attivo nella gestione della cosa pubblica. Ancora una volta, e ci tengo a rimarcarlo, è stata una donna a manifestare pionieristicamente la volontà di impegnarsi. Anche dal fronte religioso, dove delicati e fragili aspetti della spiritualità individuale giocano un ruolo importante negli equilibri della convivenza, giungono segnali positivi e rilevanti di dialogo ecumenico. Non più tardi di domenica 17 gennaio scorso, nella chiesa parrocchiale di Pragelato, una concelebrazione ecumenica riuniva don Mauro Roventi Beccari, parroco di Pragelato, il pastore valdese Enrico Benedetto e padre Ciprian Marius Ghizila parroco della comunità rumeno ortodossa del Pinerolese, per offrire alla popolazione un momento di profondo raccoglimento e nello stesso tempo, di grande apertura al mondo. Si tratta di segnali importanti che per la frenesia dei ritmi lavorativi o per i piaceri del tempo libero, possono passare inosservati perché succedono con discrezione, ma succedono e succedono grazie alla sensibilità, all’intelligenza e alla disponibilità al dialogo e al confronto di chi svolge il delicato ruolo di attore senza protagonismi inutili.

Questi montanari un po’ saggi e un po’ ottusi, forse, ma come sempre nella storia anche precursori: ieri eravamo paladini di un concetto di libertà individuale e di una capacità di autogestione che ci hanno resi speciali nella storia europea (vedi la storia degli Escartons briançonnesi), oggi testimoni e attori di una convivenza vera, rispettosa e critica nel modo giusto, specchio di tante altre realtà italiane ed europee, ma con il corretto approccio nei confronti degli altri. Domani, come nelle migliori “famiglie” allargate, sarà un altro giorno, e saremo insieme ad affrontare le difficoltà, a scoprire sempre nuovi limiti (le condizioni atmosferiche di questa pazza stagione che danneggia il turismo invernale, per esempio), a sperimentare difficili alchimie e sinergie, a criticare questo “nostro” bel paese, ad arrabbiarci quotidianamente, a condividere le pene ma anche le gioie di qualche piccolo successo, di qualche traguardo raggiunto dalla comunità e, quindi, da tutti. Una comunità in continua evoluzione e, quindi, viva.
Monica Berton

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