Il Cai cambia presidenza

6 settembre 2016

Con i suoi 307.000 soci, distribuiti in 503 sezioni e in 310 sottosezioni, il Club alpino italiano è, secondo Vincenzo Torti, nuovo Presidente generale del CAI per il triennio 2016-2019, «una delle poche associazioni nazionali che, nel corso degli ultimi quindici anni, ha mantenuto pressoché costante la propria base associativa, dimostrando un livello di fidelizzazione decisamente elevato». Avvocato, classe 1950, lombardo, socio della sezione Cai di Giussano dal 1952, Torti è stato eletto lo scorso maggio dall’Assemblea dei delegati dopo essere stato componente del Direttivo centrale dal 2005 al 2009 e Vicepresidente generale dal 2009 al 2015.
A pochi mesi dall’elezione, Dislivelli ha intervistato Vincenzo Torti per conoscere meglio il nuovo volto del Cai e gli indirizzi del suo mandato.

Torti, quali sono le sfide che il Cai affronterà nel suo triennio di presidenza?
La prima sfida che si profila all’orizzonte riguarda l’individuazione di adeguate forme di coinvolgimento delle giovani generazioni. Ci stiamo impegnando in questa direzione sia strutturando dei corsi nelle specialità più gradite alle fasce giovanili, con l’apertura verso i mondi dell’arrampicata, del torrentismo e del cicloescursionismo, sia incentivando la formazione di nuovi quadri dirigenti under 30 per attrarre nuove capacità a ruoli significativi. Bisogna poi ricordare che il Cai è prima di tutto un’associazione e, in quanto tale, deve dedicare attenzione ai propri Soci e sezioni, senza i quali non esisterebbe. Ciò significa, a mio avviso, migliorare costantemente i servizi dei tesserati, anche offrendo nuove soluzioni nell’ambito delle coperture assicurative. Una terza prova sarà la partecipazione alle associazioni internazionali che si occupano di montagna, dove il Cai sarà chiamato a esprimere la propria posizione rispetto a temi molto delicati, quali l’accentuazione competitiva di alcune attività, il loro riconoscimento olimpico e le conseguenti prospettive di sponsorizzazione.

Che ruolo occupa la comunicazione nell’agenda del Cai per la diffusione di una corretta informazione sulla montagna tra i soci e al di fuori del sodalizio?
Comunicare non significa “postare” o esternare, bensì riuscire a rendere condiviso un messaggio perché possa tradursi in scelte e comportamenti. Compito del Cai è trasmettere una cultura finalizzata alla libera frequentazione della montagna in modo rispettoso dell’ambiente naturale, individuando, se necessario, precisi limiti alle varie attività e alle loro modalità di espletamento. Sempre evidenziando come la frequentazione delle alte quote presenti rischi oggettivi e stimolando in chi si avvicina alle vette un’effettiva consapevolezza della necessità di un’adeguata preparazione.

Negli ultimi anni sono diventati sempre più evidenti i segnali di una crisi del turismo di massa: oggi, sulle Alpi sembrano convivere modelli turistici diversi. Il Cai, con la sua base associativa e i suoi rifugi, ha senz’altro una visione complessiva di queste dinamiche: come sta cambiando, a suo parere, il turismo nelle terre alte?
Coesistono diverse montagne che si differenziano, oltre che per le caratteristiche naturali o morfologiche, anche per i contesti storici ed antropologici in cui sono posizionate. Questo si ripercuote da sempre sulle scelte delle amministrazioni, delle unioni di comuni e di quanti sono chiamati a decidere sui modelli di sviluppo. Abbiamo, così, zone cui è possibile accedere con gli impianti, aperte a un turismo di massa, e zone che, trovandosi al di fuori degli itinerari più noti, sono meno frequentate. Anche i 746 rifugi, bivacchi e capanne sociali del Club alpino hanno subito inevitabili cambiamenti: oltre ai rifugi alpinistici, diverse strutture si sono trasformate da punti di appoggio per le ascensioni a mete escursionistiche e valorizzano le tradizioni, i prodotti e la cucina del territorio.

Quali sono le forze messe in campo dal Cai per promuovere una frequentazione più rispettosa delle terre alte?
Per quanto attiene la tutela dell’ambiente montano, tutti i soci del Cai sono impegnati al rispetto del Bidecalogo, approvato dall’Assemblea dei delegati Cai riunita a Torino e significativamente adottato nel 150° anniversario di fondazione del sodalizio. Si tratta di un codice di autoregolamentazione che individua le possibili criticità del rapporto uomo-montagna e indica, per ciascuna di esse, la corrispondente posizione del Cai, mettendo nero su bianco “il nostro impegno” per la tutela dell’ambiente naturale e socio-economico della montagna. La pratica attuazione dei principi che abbiamo individuato ci pone spesso a confronto con problematiche anche rilevanti, basti pensare all’eliski o alla pretesa dei motociclisti di considerare i sentieri come fossero strade. La posizione del Cai al riguardo è ferma e motivata: non vi è disponibilità a concedere spazi a favore di chi danneggia o chi, addirittura, distrugge.

Poche settimane fa è stato presentato a Roma il “Rapporto montagne Italia 2016”. Come emerge dai numeri presentati, in montagna si assiste ad alcuni piccoli segnali che, dopo decenni di spopolamento delle valli alpine, indicano una timida inversione di tendenza. Quali politiche andrebbero adottate a livello nazionale per mantenere in vita le montagne italiane?
Assistiamo a una crescente riscoperta delle qualità e delle specificità che il territorio montano può offrire a un turismo intelligente e sensibile: le scelte politiche, siano esse regionali o nazionali, sono chiamate a tenere conto di questo indirizzo prevedendo quelle agevolazioni imposte anche dalla nostra Costituzione con l’emendamento Gortani contenuto nell’art. 44 comma 2, che dispone provvedimenti a favore delle zone montane. Per mantenere in vita le montagne è necessario superare l’attuale soluzione di continuità tra montagna e pianura, quasi si trattasse di due realtà impermeabili tra loro: in realtà, non esiste scelta operata a valle che non abbia ricadute a monte, e viceversa. Su tutto, è indispensabile escludere qualsiasi forma di sfruttamento predatorio, come pure le forme di accesso che si autoproclamano ecologicamente compatibili ma che, in realtà, distruggono quel che si è formato in secoli di silenzioso cammino.
Daria Rabbia

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