Federico*, speleologo

6 luglio 2016

Le montagne, come la bellezza, sono negli occhi di chi le guarda. Ognuno ci vede quel che vuol vedere: c’è chi ha occhi solo per vertiginose verticali, chi vuol perdersi lungo sinuosi sentieri e chi invece aspetta solo di riconoscere la mano umana nel profilo di un rifugio.
Vale tutto, è solo questione di quel che ti porti dietro – nella testa e nello zaino – e di punti di vista.
Il nostro è un po’ inusuale: in montagna cerchiamo i posti dove la montagna non c’è. Siamo strani, lo riconosco, della ciambella ci interessa il buco e speriamo sempre che sia senza fondo.
Senza stare a tediarvi troppo, cari lettori, la storia è questa: l’acqua scioglie il calcare e ci sono intere montagne fatte di calcare, quindi l’acqua si apre una strada e lo speleologo, coi tempi suoi, cerca di seguirla per scoprire come sono fatte le montagne all’interno. Sulle montagne calcaree, le cosiddette “zone carsiche”, c’è pochissima acqua in superficie perché si infila nei buchi e scorre sotto i vostri piedi. Quanto sotto? Tocca andare a vedere.
La speleologia è esplorazione, andare a cercare quello che da fuori non si vede e portare, per quanto possa essere infimo e risibile, il proprio contributo alla conoscenza umana. Le immense gallerie e i meandri in cui devi strizzarti; i fiumi, i torrenti e i rigagnoli; le pozze fangose e i laghi di cui non vedi il fondo; i baratri di centinaia di metri e i pozzetti in cui non varrebbe nemmeno la pena mettere una corda sono speleologia, nella sua forma più durevole, ma la speleologia è anche altro.
La speleologia sono gli speleologi, individui accuratamente selezionati tra quanto di più bizzarro e non convenzionale la specie umana abbia da offrire: se ne trovano di belli e brutti, alti e bassi, grassi e magri – tendenzialmente più bassi e magri che alti e grassi – stupidi e meno stupidi, colti e ignoranti, astemi e ubriaconi e via così, ma tutti, per utilizzare un abnorme eufemismo, eccentrici. Vi sfido a trovarne uno che si possa definire “normale”.
La speleologia sono i gruppi speleologici cui gli speleo appartengono o scelgono di non appartenere, con la loro natura così spiccatamente tribale da far pensare che la struttura sociale moderna non sia altro che una sottile patina sulla pelle dell’umanità.
La speleologia è passare un sacco di tempo con se stessi: in grotta non si va da soli, ma sulle corde e nei meandri lo si è, e i tuoi compagni sono semplicemente persone che vanno nella stessa direzione, luci che ti seguono o precedono, voci nel buio e incontri quasi fortuiti, ma sempre lieti.
Sotto terra l’umano è troppo prezioso per essere sprecato. Fuori, spesso, è diverso.
La speleologia è un’ancestrale alchimia di curiosità, resilienza e risolutezza che ci fa sentire, piccoli e insignificanti come siamo, simili a Ulisse che fa rotta verso l’ignoto.

* Nato a Savigliano nel 1988 vive a Torino. Ha cominciato a fare speleologia perché gli dicevano che non sarebbe passato dalle strettoie. E ha scoperto che la necessità aguzza il girovita.

Nessun commento.

Replica








Web design e sviluppo: Resonance