Curare i boschi può dare un reddito

15 settembre 2010

Quanto può essere considerato l’effettivo assorbimento e quanto potrebbe essere valutato? Quali sono le situazioni ottimali e quali azioni possono essere fatte per ottenere i risultati migliori? Le risposte sono arrivate dagli interventi dei tecnici dell’IPLA (Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente di Torino) Fabio Petrella e Igor Boni, che hanno riferito su dieci anni di lavoro effettuato attraverso misurazioni su piante e suoli: l’assorbimento è significativo e sarebbe possibile creare un mercato locale di scambio delle quote di CO2 che garantisca un reddito e che sia indipendente dallo scambio di quote internazionale; per questo è necessario adottare gestioni forestali ecosostenibili che riducano i profitti dei tagli ma garantiscano un accumulo maggiore di carbonio rispetto alla gestione ordinaria. La gestione ottimale va valutata caso per caso, ma è comunque volta a un incremento da tutti i punti di vista della quantità e qualità del patrimonio boschivo. Un’azione portata ad esempio è il passaggio da ceduo a fustaia delle faggete abbandonate. Sono stati citati studi fatti dall’IPLA sulle Valli Tanaro, Gesso e Vermenagna: in tali situazioni 2.000 ettari di faggeta, detratti i costi di certificazione e di manutenzione per un periodo determinato (7-10 anni), potrebbero rendere una tantum 100 euro/ettaro, cioè 200.000 euro. Il vantaggio rispetto al taglio ordinario del ceduo, ovviamente più remunerativo, è che il bosco viene curato e migliora le sue caratteristiche, mantenendo o aumentando il valore delle piante che lo compongono. In più c’è la legna risultante dalle operazioni di manutenzione.
E’ evidente l’interesse di tutti i territori montani verso queste possibilità, anche in vista degli indotti derivanti dalle opportunità di lavoro e dalla valorizzazione paesaggistica.
Uno degli aspetti problematici è quello della certificazione, tuttavia; poiché in Friuli e in Veneto progetti analoghi sono in fase avanzata, un’adesione da parte del Piemonte troverebbe la strada già aperta. Se si costituisse un centro di certificazione in collaborazione con le università e si potesse così non ricorrere alle certificazioni internazionali, diminuirebbero le spese e aumenterebbe la resa per ettaro.
Maria Grazia Maia

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