Cosa tiene accese le stelle

8 marzo 2018

Risalendo la Valle Trompia da Brescia, giunti nei pressi dell’abitato di Bovegno, a un certo punto si volta a destra per inforcare la strada che conduce al borgo rurale di Ludizzo (800 m), dove un’antica torre d’età romanica fronteggia il Monte Muffetto (2060 m) che domina la veduta panoramica a ovest. Dall’abitato di Ludizzo si stacca una vallecola, un tempo percorsa da contadini e allevatori per raggiungere le cascine di media montagna, dove far pascolare gli armenti prima e dopo l’alpeggio estivo oppure dove far fieno da immagazzinare per l’inverno. Una di queste cascine ormai in abbandono è ora abitata da una coppia di giovanissimi ‘nuovi montanari’: Stefania Reali (cl. 1988) di Brescia e Simone Frassini (cl. 1989) di Novara, che nel 2012 qui hanno fondato la loro azienda agricola dal nome “Cosa tiene accese le stelle”. Li vado a trovare nella loro bella casa fresca di ristrutturazione, che da cinque mesi ospita anche la loro bimba Matilde. Stefania mi accoglie con un caffè nella cucina riscaldata con la caldaia a legna e qui inizia la nostra chiacchierata.

Qual è stato il vostro percorso prima di approdare qui, in alta Val Trompia? «Io e Simone ci siamo conosciuti all’Università della Montagna di Edolo, in Val Camonica, che è un distaccamento dell’Università di Agraria di Milano. Un ambiente a misura di studente grazie alle infrastrutture presenti, alla dimensione raccolta della cittadina, agli affitti a quel tempo ancora accessibili, alle montagne vicine dove praticare trekking e sport invernali. Sin dal secondo anno, quando eravamo poco più che ventenni, avevamo capito di convergere su idee molto simili e progettato l’idea di un’azienda agricola famigliare in un contesto montano. Già durante il corso di studi ci siamo messi a cercare, muovendoci dal Lago di Como all’Appennino, finché su un giornalino di annunci immobiliari abbiamo trovato questo sito sulle montagne di Bovegno, a soli 40 km da Brescia. Di toponimo fa Neguàl, è posto a 850 di quota su un versante rivolto a sud-ovest fronteggiante il Muffetto: ci colpì il fatto che al fabbricato fosse annesso molto terreno, una caratteristica che cercavamo, non facile da trovare in montagna dove il frazionamento fondiario è un fenomeno purtroppo molto frequente. Nel 2012 abbiamo finito l’università: io sono stata temporaneamente assunta come cassiera part-time, mentre Simone ha trascorso l’inverno in Appennino a fare il boscaiolo, per poi trovare un lavoro a tempo indeterminato come carropontista presso il termovalorizzatore di Brescia. All’inizio ce la siamo cavata così, salendo a fare i primi lavori non appena trovavamo mezza giornata libera. Grazie al lavoro fisso di Simone abbiamo avuto accesso a un mutuo per la sistemazione del rustico in abitazione e laboratorio di trasformazione dei nostri prodotti e per realizzare i terrazzamenti su cui trapiantare le piante da frutto. Ci siamo allacciati all’acquedotto, abbiamo realizzato una tettoia che funge da deposito attrezzi, ci siamo dotati di caldaia a legna e di pannelli solari termici per l’estate. L’unico cruccio logistico è la strada agro-silvo-pastorale che nessuno pulisce dalla neve». L’azienda ha aperto i battenti nel 2012. Stefania e Simone hanno scelto varietà di frutta da portainnesti lenti nella messa a frutto, ma che dopo i primi due o tre anni improduttivi si rivelano più durevoli e resistenti. Ecologica e rispettosa del suolo è stata la tecnica di preparazione della zona di coltivazione.

Racconta Stefania: «Non abbiamo arato il terreno proprio per non compromettere la qualità del suolo, ma solo fresato in corrispondenza della piantagione, concimato con letame di capra di un’azienda vicina, pacciamato con gli scarti del taglio del bosco macinati col biotrituratore, che fungono anche da nutriente per l’anno successivo. Sui terrazzamenti abbiamo trapiantato ciliege, susine, prugne, una varietà di albicocche a ciclo breve e a fioritura tardiva, pere, mele, ribes, fragole, ortaggi ed erbe officinali per fare tisane monospecie. Accanto al terreno terrazzato sorge un impianto privo di terrazzamenti, sostenuto da solidi pali di castagno, dove sorgono filari di lamponi rifiorenti, more, ribes rosso, bianco e nero e uva spina». Come utilizzate i vostri prodotti? «La frutta delle piante di alto fusto viene tutta trasformata perché la produzione è bassa e non riusciremmo a spuntare un buon prezzo sul fresco. Dei piccoli frutti, invece, vendiamo una parte di fresco e trasformiamo il resto in confetture di frutta e composte da abbinare ai formaggi. Mi piace far capire al cliente che la frutta è tutta nostra e che non si deve spaventare nel vedere che la scadenza è breve, bensì vederlo come un valore aggiunto dal momento che usiamo poco zucchero di canna. Nelle marmellate non utilizziamo nemmeno la pectina e per addensare usiamo le nostre mele. Dati i costi, non riusciamo a mantenere la certificazione biologica ma non facciamo alcun trattamento se non il verderame in inverno quando le piante sono a riposo, prima della fioritura, mentre con trappole ecologiche teniamo sotto controllo la drosofila. Inoltre abbiamo preso in comodato d’uso un campo per mettere a dimora le patate, di varietà Desirée e Kennebec. Con nostra grande soddisfazione e non senza un certo stupore abbiamo venduto gran parte del raccolto alla gente del posto, molto scettica del nostro operato al nostro arrivo, dubbiosa sulle nostre intenzioni e la nostra serietà, sicura che a Neguàl non avremmo trascorso un intero inverno. E invece eccoci ancora qui, dopo sei anni, nonostante ci sia ancora chi dubita sulla continuità del nostro lavoro. Nel frattempo, però, abbiamo conosciuto persone chi ci sostengono e su cui ci appoggiamo. I momenti di sconforto ci sono ancora adesso, e sappiamo che su di loro possiamo contare. In ogni caso per i locali rimarremo sempre dei ‘foresti’ che cercano di vivere di agricoltura, un lavoro visto dai più come non qualificante e di dubbi guadagni. All’inizio soffrivamo di queste considerazioni perché eravamo giovanissimi e inesperti, mentre adesso non ci importa più di tanto. La mia fortuna sono stati i miei genitori, che hanno sempre creduto in me e incoraggiata a perseguire ciò che mi rende felice, nonostante dal punto di vista sociale e lavorativo non provengano dal mondo agricolo». Quali sono, oltre alle persone del luogo che apprezzano le vostre patate, i vostri principali canali di vendita? «Innanzitutto il passaparola tra colleghi, famigliari, amici, conoscenti. Poi abbiamo iniziato a prendere parte ai mercatini di Natale in Valle e al mercato di Campagna Amica organizzato da Coldiretti a Brescia, una volta al mese. Adesso è bello veder arrivare qualche cliente affezionato che raggiunge il mercato proprio per acquistare i nostri prodotti. Inoltre io uso molto facebook, che è una forma di pubblicità gratuita e funziona meglio del classico sito web aziendale. Con orgoglio, posso dire che da un anno e mezzo (a tre anni e mezzo, cioè, dall’apertura dell’azienda e a un anno e mezzo dalla messa a norma del laboratorio) coi nostri prodotti riusciamo a ricavarci lo stipendio pieno di una persona. Certo, non facciamo il conto delle ore di lavoro… Anche a Simone piacerebbe lasciare prima o poi il suo impiego fisso, ma ora è fondamentale per pagare il mutuo ed è una certezza su cui contare nel caso in cui, date certe bizzarrie climatiche, i raccolti dovessero andare male una o più stagioni».
Avete avuto accesso a bandi e finanziamenti rivolti ai giovani? «Non abbiamo voluto accedere a bandi perché nel 2012 eravamo nell’ultimo anno del PSR. Avevamo solo 22 anni, e inesperti con la burocrazia. Non abbiamo voluto affrettare le cose, e consigliati dai miei genitori abbiamo voluto fare un passo alla volta. Sono stati proprio loro a regalarmi il libro che ha ispirato il nome della nostra azienda e che è stato per me fonte d’ispirazione e incoraggiamento: ‘Cosa tiene accese le stelle’ di Mario Calabresi (2011) racconta esperienze di donne e uomini italiani – scienziati, artisti, imprenditori, giornalisti, persone comuni – che sono stati capaci di inseguire i propri sogni, di tenere la testa alta anche quando è buio, nella consapevolezza che la libertà si conquista anche con la volontà».
Michela Capra

Info: Azienda Agricola “Cosa tiene accese le stelle”, Frazione Ludizzo 70, Bovegno (Bs), Tel. 3339324216, www.facebook.com/AzagrCosatieneacceselestelle

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