Care calde Alpi

9 dicembre 2009

Se andrà avanti così, ecco che cosa ci aspetta: in un inverno medio, Cortina d’Ampezzo sarà imbiancata per 11 giorni e Courmayeur per 40. Le nevicate invernali si ridurranno in media del 36%. Nelle stazioni sciistiche ci sarà più neve artificiale che neve “vera”. Tutto questo, e molto altro, dice il Rapporto sul cambiamento climatico nelle Alpi pubblicato dall’Agenzia europea dell’Ambiente. Si tratta di un dossier basato su simulazioni e modelli scientifici, oltre che sullo studio di quanto accaduto negli ultimi secoli.

Niente certezze assolute, avvertono gli studiosi: troppe sono le varianti in gioco, le eccezioni locali, ma una tendenza di fondo viene confermata dal dossier: «Tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, le Alpi – zona fra le più vulnerabili al cambiamento climatico in Europa – hanno sperimentato un aumento eccezionale delle temperature di circa 2 gradi, oltre il doppio rispetto alla media del riscaldamento nell’emisfero Nord».

Dunque, molto presumibilmente, le Alpi saranno sottoposte a un riscaldamento più forte che il resto d’Europa: 1,4 gradi fino al 2050, poi forte accelerazione entro il 2100, fino a toccare i +3,5/3,9 gradi, contro i 3,3 gradi nel resto del continente. Se invece diminuiranno i gas serra nell’atmosfera, le temperature sulle Alpi aumenteranno “solo” di 2,6 gradi.

I ghiacciai si ritirano in tutto il mondo con una velocità raddoppiata negli ultimi anni, come dimostrano i dati delle Nazioni Unite. Quelli europei guidano la ritirata: dai 4.500 chilometri quadrati di continente che ricoprivano nel 1850, sono scesi a 2.200 nel 2000; e se dal 1850 al 1975 hanno perso ogni anno lo 0,5% del loro volume, dal 2000 la perdita annua è stata del 2-3%. La cartella clinica sta sul sito di Nimbus (www.nimbus.it) della Società meteorologica italiana.

«La linea degli alberi – annuncia il dossier UE – si sposterà di alcune centinaia di metri più in alto…». Anche gli animali migrano in quota, per ritrovare il bioclima inciso nei loro geni, ma questa migrazione «sarà brutalmente limitata dalla stessa altezza delle montagne». Già vengono considerati a rischio la trota fario, il gallo forcello, la lepre artica e così via.

Enrico Camanni
Fonte: Corriere della Sera

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