Cambia il clima… culturale

2 aprile 2016

«E finalmente è arrivata la neve. Proprio come ogni anno, ai primi di marzo. Giusto in tempo per l’apertura della stagione primaverile, come sperano sempre gli operatori turistici, in vista delle tanto agognate vacanze di Pasqua. Anche quest’anno si preannuncia un mese di alta stagione molto denso, pronto ad accogliere migliaia di turisti provenienti da città più o meno vicine, per sfruttare al meglio il loisir che la montagna sa ancora offrire.

Ovunque in tv, spot pubblicitari sfruttano il colore bianco per il lancio di prodotti a base di cioccolata e a forma di uovo, simbolo del consumismo pasquale, e la neve, in questo 2116, preannuncia nuovamente una buona annata, perché la gente non ha smesso di sciare, le stazioni sciistiche non sono scomparse e le abitudini dei turisti non sono cambiate, anzi, si sono ancor più concentrate.

Il Natale è lontano.

Le località sciistiche, dopo la stagione morta dei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, escono dal letargo, pronte per un mese molto concentrato di attività economiche, per poi ritornare a dormire, sopite fino all’avvento del mese di agosto, quando la gente si ricorda di esse perché attanagliata dalla calura insopportabile di città sempre più inquinate per via del sovraffollamento.

La montagna, infatti, non produce più e i pochi operatori impegnati nei due mesi suddetti per ovvi motivi lavorano in città i restanti 10 mesi. Le produzioni locali tipiche sono un lontano ricordo: in passato non si è investito abbastanza perché sicuri di poter replicare in sintesi alimenti e prodotti che, si è compreso, solo la mano attenta di un uomo “colto” di saper fare tramandati sa riproporre. I contributi economici sono stati convogliati per salvare le stazioni sciistiche che cent’anni prima dichiaravano lo stato di calamità naturale…»

Fantasmi dell’avvenire o cronache di un tempo futuro?
Probabilmente entrambe, ma la cronaca di un futuro immaginato potrebbe essere ben diversa se solo, nel 2016, anno in cui si scrive e che molto ha ispirato quanto sopra riportato, fossero messi in evidenza gli importanti cambiamenti che accompagnano quelli climatici. Sono i cambiamenti culturali che stanno investendo tutto l’arco alpino italiano e che ci indicano una possibile differente proiezione delle località di montagna, emancipate dalla monocultura dello sci di discesa.
In particolare il primo decennio degli anni 2000 ha visto svilupparsi un nuovo modo di essere in montagna, nel quale l’abitante e il turista si influenzano a vicenda, incrementando un sano rapporto di conoscenza che ha il merito di accrescere l’orgoglio montanaro del primo, per troppo tempo sopito a causa della veste di “operaio” del divertimento cittadino, e di incentivare il desiderio di scoperta del secondo, non più fautore del mordi e fuggi domenicale. L’agriturismo, il più recente bed&breakfast nonché l’intramontabile rifugio alpino sono forme di accoglienza a conduzione familiare che ben si prestano a divenire le alternative ai modelli in crisi del turismo di massa e delle seconde case.

Assistiamo oggi anche all’emergere di località nelle Alpi che non sono mai state turistiche per il modello precedente ma che “usano” la propria storia, cultura e natura come risorse per proporsi sulla scena globale. Si tratta di una vera e propria rivoluzione antropologica che segna la fine del predominio della pianura e apre scenari inediti di ridefinizione d’identità multiple, com’è stato nel passato antecedente l’era moderna. E a farsi portavoce di queste identità multiple sono coloro che non si lasciano incasellare dall’esterno, sono i montanari per nascita e quelli per scelta, i giovani e gli anziani, una massa critica che si dà voce mediante iniziative, prese di posizione e una politica locale capace di incidere a livelli più ampi.
Sulla stampa e sul web trova sempre più spazio la cronaca dei piccoli villaggi alpini, con diatribe e difficoltà riguardo il mantenimento di negozi e di presidi sanitari e il problema dell’accessibilità sia fisica che virtuale; insomma, la quotidiana lotta per non essere dimenticati. Questo dovrebbe trovare conferma anche nella politica a livello nazionale, in modo che si emancipi dal carattere spurio che ormai la contraddistingue.
Un’indagine interna alla rete Sweet Mountains ha sottoposto due questionari, rispettivamente per le strutture ricettive aderenti e per gli utenti iscritti online alla rete, i cui risultati hanno delineato un quadro in controtendenza con le grandi statistiche che vorrebbero analizzare l’intera montagna italiana prendendo a campione solo i grandi comprensori sciistici.
Sulle motivazioni che spingono il turista a permanere e visitare un luogo di montagna vi è prima di tutto la necessità di essere a contatto con la natura seguita dalla pratica sportiva, che vede soprattutto nelle passeggiate la pratica più diffusa. Dallo studio si evidenzia che l’affluenza nelle strutture turistiche è ancora forte in estate, superando di molto quella invernale, facendo emergere il paradosso di un pensiero total ski.

Il rimodulamento della domanda turistica comporta la ridefinizione dell’offerta. Tenendo in considerazione che le voci di spesa per le quali il turista è maggiormente disposto a investire sono il pernottamento, i pasti e i prodotti locali, seppur con una disponibilità economica non elevata, occorre investire sulla qualità offrendo però un turismo alla portata di tutti, lontano dal lusso a cui sono abituate alcune stazioni invernali che manifestano fortemente una decontestualizzazione territoriale ancorché sociale e culturale e, ora, anche climatica.
Maria Anna Bertolino

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