Buone pratiche in rifugio

29 gennaio 2015

Termini come sostenibilità, riduzione dell’impatto ambientale, in questi ultimi anni sono fortunatamente divenuti patrimonio comune per ognuno di noi.
In tal senso un grosso impulso è arrivato dall’Unione Europea attraverso una serie di azioni tese a sviluppare nei confronti dei cittadini una maggiore sensibilità rispetto a questi temi. Non esiste bando per accedere a fondi comunitari che non preveda al proprio interno una voce legata al concetto di sostenibilità. A cascata questa attenzione è confluita sulle singole regioni e amministrazioni comunali.
Molto è stato fatto. Molto è ancora da fare.
Sappiamo bene che le norme, per trovare piena applicazione, hanno bisogno di essere prese a cuore dalla collettività… C’è bisogno della partecipazione dei singoli attori, il rischio in caso contrario è che rimangano belle parole.
Tali attenzioni le abbiamo ritrovate nella gestione di molti rifugi alpini i quali, nonostante una serie di difficoltà oggettive legate in primis alla lontananza dai centri abitati, sono strutture che investono molte energie nel tentativo di ridurre il proprio impatto sull’ambiente circostante. In tal senso abbiamo notato in più di un’occasione uno sforzo da parte dei gestori e dei loro collaboratori a dir poco encomiabile.
Abbiamo voluto prendere ad esempio tre strutture con tre enti diversi di riferimento: Il rifugio Selleries-Regione Piemonte, nel Parco dell’Orsiera Rocciavrè; il rifugio Troncea-Comunità Montana Val Chisone, in Val Troncea; il rifugio Melano Casa Canada-Cai, ai piedi del Monte Freidour in Val Lemina.

I primi due sono dotati di piccole turbine idroelettriche che nel caso del rifugio Selleries garantiscono luce e riscaldamento in grado di soddisfare il fabbisogno quotidiano di 45 persone (tanti sono i posti letto). Per quanto riguarda il Troncea, dove la portata d’acqua è minore, la presenza della centralina non è sufficiente a far fronte alla richiesta energetica giornaliera ma contribuisce in larga misura. Non dimentichiamo che stiamo parlando di due rifugi a 2000 metri di quota, aperti durante tutti i mesi invernali.
Per quanto riguarda il rifugio Melano, la disponibilità d’acqua non è tale da poter pensare allo sfruttamento di questo tipo di risorsa. Ci si è rivolti così al fotovoltaico; anche qui la produzione di kilovattora non è sufficiente a soddisfare quello che è il fabbisogno della struttura, tant’è che per quanto riguarda il riscaldamento si è optato per una caldaia a legna di ultima generazione, avvalendosi così di quello che è un altro patrimonio in loco: quello boschivo.
In tutti e tre i casi l’adozione di questo tipo di soluzioni richiede da parte del gestore una continua attenzione rispetto all’uso accurato di energie che in determinati momenti della giornata tendono a ridursi, oltre a una periodica manutenzione degli impianti.
Realtà diverse, così come diverse sono le strategie di sopravivenza, accomunate però da un approccio che le accomuna tutte e tre: Il tentativo di ridurre al minimo il proprio impatto attraverso buone pratiche quotidiane. Tutti e tre i rifugi hanno un’attenzione spasmodica nei confronti della raccolta differenziata (al rifugio Troncea i bidoni per la raccolta della plastica, carta e vetro sono in bella mostra a disposizione della clientela); tutti e tre hanno deciso di non dare ai propri clienti bicchieri di plastica, spiegano agli avventori che preferiscono lavare un bicchiere in più ma avere un po’ di plastica in meno in giro per il mondo da smaltire. Il rifugio Selleries rincara la dose non vendendo acqua naturale in bottiglia: «Assurdo privarsi dell’acqua di sorgente a queste quote a vantaggio dell’acqua in bottiglia», dicono i gestori. Il Melano non usa cannucce motivando a genitori esterrefatti che un bimbo di sei anni è perfettamente in grado di gustarsi un succo di frutta, peraltro Bio, senza l’ausilio di una cannuccia.
Piccoli gesti che come dicono i gestori stessi non spostano di una virgola la percentuale di rifiuti prodotta ogni anno a livello locale, ma che perlomeno istillano il dubbio sul fatto che ognuno di noi, nel proprio piccolo, è un peso per l’ambiente ma nello stesso tempo può fare qualcosa di concreto per ridurre la sua impronta ecologica. In tal senso il rifugista, o meglio questo tipo di rifugista, può diventare un vettore di Cultura.
Andrea Arnoldi

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