Agorà per la ricerca a Nord-ovest

31 marzo 2011

L’indagine IRTA, di cui Matteo Puttilli dà notizia in questo numero, mette in evidenza, tra le altre, due cose importanti. Una è positiva: la ricchezza delle ricerche sulla montagna del Nord-ovest e il gran numero di soggetti pubblici e di associazioni che concorrono a produrla. La seconda, piuttosto negativa, riguarda la mancanza di coesione e  di coordinamento tra questi soggetti e l’assenza  di una governance che la indirizzi e che  renda disponibile questo bene pubblico per la cittadinanza, le scuole, gli uffici tecnici pubblici e privati, le imprese, i professionisti  e quant’altri interessati, non ultimi i decisori politici. È come se la ricchezza di questa produzione fosse rivolta solo a un autoconsumo local-settoriale, senza che ci sia un’agorà in cui i produttori possano incontrarsi, scambiarsi idee e metodi, esporre i loro prodotti, diffonderli, discuterli con i destinatari.
Intendo un luogo di incontro che permetta:
1) la reciproca conoscenza tra i produttori e lo scambio di informazioni con effetti sinergici sulla produzione stessa;
2) la possibile cooperazione  tra i produttori per il coordinamento delle ricerche e lo sviluppo di progetti multidisciplinari di ampio respiro (p.es. progetti europei);
3) la diffusione dei risultati tra quanti possono trarne vantaggio nella loro attività educativa, professionale, politico-amministrativa;
4) il dibattito informato sulle/ e il supporto alle/ politiche pubbliche;
5) un incontro trasparente tra chi fa ricerca e chi può finanziarla (enti pubblici, fondazioni bancarie, ecc.).

La creazione di un luogo di incontro per l’accesso e la valorizzazione di questo bene comune ora sottostimato e sotto-utilizzato avrebbe un effetto positivo rilevante per la diffusione di una cultura della montagna e per programmarne il futuro, superando la contraddizione segnalata dalla ricerca IRTA  tra le tante energie spese in una produzione ricca ma dispersa  e  l’assenza di forme  di incontro/coordinamento/governance che potrebbero migliorarne i risultati per quanto riguarda sia la qualità dei prodotti, sia le ricadute positive  sulla cultura, la società e l’economia. Mi limito a due esempi. Per rispondere alle gare indette dai vari strumenti di progettazione integrata (Patti territoriali, PISL, PIT, Borgate, ecc.) e programmi europei (Leader, Spazio alpino, ecc.) sono stati prodotti studi, sovente validi, che rimangono poi nei cassetti di qualche ufficio. Oppure: ci sono conoscenze “esperte” in vari campi (dall’idrogeologia all’antropologia culturale, dalla botanica all’informatica, dall’ingegneria ambientale alla sociologia, ecc.) che rimangono estranee alle conoscenze di chi vive e opera quotidianamente in montagna, così come certe conoscenze “tacite” e contestuali di questi soggetti sono sovente ignorate da accademici ed esperti. Eppure le recenti ricerche sull’innovazione territoriale (Rullani, Bonomi, Magnaghi, ecc.) hanno dimostrato che lo sviluppo locale deriva oggi soprattutto dall’incontro e dall’ibridazione di questi due livelli della conoscenza.
Provo a indicare due soluzioni tra loro non del tutto alternative e perciò suscettibili di altre soluzioni intermedie. Una, più “pesante”, prevede un centro di ricerca sulla montagna da istituirsi presso la Regione o presso un suo ente strumentale, nei cui organi direttivi siano rappresentati i “produttori” e i destinatari delle ricerche. Una seconda più leggera e “orizzontale” consiste in una rete informale degli enti che fanno ricerca sulla montagna, tenuta insieme da una piattaforma interattiva online dove si possano incontrare  i “produttori” tra loro e con gli utenti.
La prima assicurerebbe più stabilità, ma sarebbe più difficile da costruire e anche più costosa, macchinosa e burocratica, tendenzialmente top-down ed esposta al rischio di dipendere dal colore politico delle giunte. La seconda avrebbe meno vantaggi di tipo istituzionale, ma sarebbe  più facile da costruire e da gestire. Potrebbe comunque avere un riconoscimento e un co-finanziamento da parte degli enti istituzionali per il servizio pubblico che svolge.
Come Associazione Dislivelli rivolgiamo un appello a chi legge queste righe ed è interessato a trovare una soluzione: quale (tra queste o altre) vi sembra migliore come fattibilità ed efficacia? Sareste disposti a unirvi a Dislivelli per studiarne e promuoverne una?
Giuseppe Dematteis

Leggi il numero d’inchiesta sulla ricerca in Piemonte della rivista di Dislivelli

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