Stranieri e innovazione culturale nelle terre alte

1 febbraio 2016

Dopo più di un secolo di esodo massiccio, le terre alte si stanno ripopolando. In Italia, dove tra il 2001 e il 2011 quasi la metà dei comuni montani ha registrato una crescita demografica, questo neo-popolamento si deve fino ad oggi principalmente a flussi di migrazione interna. Nondimeno, a inizio 2014 gli stranieri residenti nei 1.749 comuni italiani il cui territorio è compreso nella Convenzione delle Alpi erano quasi 350.000, con un’incidenza lievemente superiore alla media nazionale e proporzioni spesso oltre il 10% nella popolazione in età da lavoro. Oggi molti altri potrebbero prendere la strada della montagna nella situazione di emergenza rifugiati esplosa nel 2015.
Quali effetti potrà avere questo neo-popolamento? Una conseguenza deprecata dello spopolamento era stata l’erosione del patrimonio culturale. Si può pensare che, se l’esodo montano era causa di impoverimento culturale, il neo-popolamento possa ora portare arricchimento e innovazione, e che un contributo particolarmente importante possa venire proprio dagli stranieri? Questo è quanto suggeriscono recenti studi antropologici secondo i quali la creatività culturale sarebbe notevolmente favorita dall’incontro, a volte persino dall’impatto fra culture e società differenti (A. Favole, Creatività culturale, Antropologia museale 2009).

Ci si deve però domandare in quali circostanze gli incontri fra culture e società abbiano maggiori chances di produrre “creatività culturale”. L’antropologo Francesco Remotti (F. Remotti, Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Roma-Bari, Laterza 2011) ha sostenuto che la creatività culturale «ha bisogno di spazio entro cui esprimersi», e che quindi il vuoto – una cultura impoverita o una struttura sociale debole – agevola la creatività più di quanto facciano una cultura “densa” o una struttura sociale robusta. Questa ipotesi di carattere generale sembra trovare conferma in area alpina, e soprattutto nelle Alpi occidentali, dove si incontrano casi in cui un forte spopolamento ha consentito ai “nuovi montanari” di approfittare del vuoto provocato da anni di emigrazione per avviare attività imprenditoriali non solo in campo strettamente economico ma anche culturale (P.P. Viazzo, R.C. Zanini, Approfittare del vuoto? Prospettive antropologiche su neo-popolamento e spazi di creatività culturale in area alpina, Revue de Géographie Alpine 2014). Si pone così una questione importante: quanto vuote sono le montagne? Lo sono tutte nella stessa misura e nello stesso modo? In realtà, in ampi settori dell’arco alpino – nelle Alpi svizzere e soprattutto nelle Alpi austriache – non sembrano essersi prodotti, né demograficamente né culturalmente, quegli “spazi vuoti” che sono invece il tratto distintivo delle Alpi francesi e di gran parte delle Alpi italiane. Aree montane svantaggiate dalla loro maggiore fragilità demografica potrebbero paradossalmente essere avvantaggiate dai maggiori “spazi di creatività” – economica oltre che culturale – prodotti dallo spopolamento.
Poiché nel complesso le terre alte rimangono comunque sottopopolate, appare quasi ovvio puntare a colmare i vuoti e meglio equilibrare la struttura demografica e lavorativa non solo favorendo ulteriormente il neo-popolamento, ma anche dirigendo verso le montagne i rifugiati. Occorre però distinguere fra tipi assai diversi di neomontanari. È oggi frequente contrapporre i montanari “per nascita” ai nuovi abitanti delle terre alte, “montanari per scelta” consapevoli e dinamici. Già alcuni anni fa Enrico Camanni (E. Camanni, Il Cervino è nudo, Courmayeur, Liaison Editrice 2008) aveva tuttavia ammonito che «nel quadro odierno delle migrazioni internazionali le Alpi – e soprattutto le stazioni turistiche – stanno popolandosi di nuovi abitanti che vengono da lontani paesi e che non sono né montanari per nascita né montanari per scelta ma piuttosto “montanari per necessità”». E ora si comincia ad assistere all’arrivo di “montanari per forza”. Ma se per i montanari “per necessità” la migrazione era mirata e, entro certi limiti, auto-determinata, per i rifugiati rischia invece di essere casuale e etero-determinata, con elevate probabilità che essi rimangano in località di montagna solo per periodi brevi e con un raggio d’azione limitato: montanari “a termine”, dunque, e senza quella agency necessaria per poter davvero portare un contributo all’innovazione culturale. Proprio in questa prospettiva appare dunque urgente promuovere politiche e pratiche che favoriscano l’inserimento effettivo dei rifugiati nel tessuto sociale, economico e culturale delle terre alte, creando le condizioni affinché questi “nuovi montanari per forza” possano decidere di divenire infine “montanari per scelta”.
Pier Paolo Viazzo e Roberta Clara Zanini

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