Gli stereotipi sulle Alpi. Un argomento che pare leggero ma leggero non è. E lo sappiamo bene noi di Dislivelli, che dalla data della nostra costituzione ci siamo impegnati nel contrastarli.
Gli stereotipi, si sa, per loro natura sono duri a morire, e per quanto riguarda le terre alte si continua a dipingere la montagna come un rifugio del passato, retaggio dell’economia arcaica e perdente. L’opinione pubblica oscilla tra l’immagine di questo anacronismo e l’opposta visione, altrettanto fuorviante, di un parco giochi per cittadini, «anche se il mondo – scriveva poco tempo fa sulla nostra rivista Enrico Camanni – è completamente cambiato dai tempi in cui Nuto Revelli descriveva con angosciata partecipazione l’inarrestabile discesa dei montanari verso le fabbriche di pianura e, per converso, lo sci si affermava come la panacea di ogni male».
Eppure, come insegna Silvio Berlusconi, ripeti una cosa una volta, ripetila due e tre e quattro… e anche se questa non ha nessuna rispondenza con la realtà, dopo l’ennesima volta sarà acquisita. Con buona pace di chi, in questo caso, in montagna ci abita. Che a furia di sentirsi dare del “perdente” rischia alla fine di crederci. È la teoria della “Profezia che si autoadempie”, che gli psicologi ci insegnano verificarsi quando un individuo, convinto o timoroso del verificarsi di eventi futuri, altera il suo comportamento fino a renderli reali.
Abbiamo deciso, in questo numero, di affrontare il tema di petto: dalla montagna assassina al buon pastore, dal montanaro gozzuto all’immagine della montagna nei film dei fratelli Vanzina. Nel tentativo di smascherare alcuni luoghi comuni e al contempo ridare dignità a un territorio che oggi, più che mai, può portare ossigeno al nostro paese malato.
Buona lettura!