Sono già passati dodici anni di vita in Valle di Viù. Dal duemiladodici vivo ai novecentoventi metri di altezza di una solitaria casa del Settecento in pietra e legno ben esposta al sole, non raggiungibile in auto, persa tra i boschi e le balze ai piedi del Monte Civrari, possente sentinella della media valle. A Trichera, la mia borgata di riferimento a cinque chilometri dal capoluogo Viù, non abita più nessuno. L’ultimo è stato Giulio, montanaro vero e forzuto, colto e con i vitelli in stalla, che se n’è andato troppo presto, lasciandoci soli con un senso di vuoto profondo. A Pessinea, dove termina la strada comunale, passano l’inverno tre persone. Un tempo Trichera e Pessinea erano due paeselli con tanto di scuola, oggi sono luoghi del silenzio. Nei giorni feriali, salvo d’estate, è più facile incontrare caprioli e cervi che persone. Torino è a sessanta chilometri, un’ora e mezza di auto, ma la sensazione è di una distanza maggiore.

Posso permettermi di abitare quassù, dove i vicini e molti servizi sono distanti, perché, oltre a non avere figli da crescere, non ho bisogno di muovermi ogni giorno per lavoro. Amo stare nel silenzio, respirare aria buona, bere acqua di sorgente e godere la bellezza del paesaggio. Sono gli ingredienti più importanti per me nella ricetta della vita, capaci di confermarmi che sono nel posto giusto. Nella civiltà del rumore e del consumo il silenzio e l’assenza sono un lavaggio, un lusso inestimabile, un nutrimento di cui non so fare a meno.

Mi serve una buona connessione internet e più o meno c’è. Mi serve avere un riferimento medico e c’è grazie allo straordinario dottor Vittorio Guerci, che rende la sua farmacia un piccolo ed efficiente pronto soccorso di montagna. Mi serve comprare qualcosa da mangiare o per la casa e ci sono diverse possibilità per farlo. A Viù c’è anche l’edicola, un negozio di articoli sportivi, bar a profusione, ristoranti, pizzeria e un mercato settimanale che amplia l’offerta d’acquisto.

Manca un albergo, a conferma di un turismo di passaggio diretto a Usseglio, in alta valle. Mancano più corriere per raggiungere la ferrovia per Torino a Germagnano, lasciando a casa l’auto. Ma le poche corse gestite da Rossatto spesso sono deserte.

Il cinema più vicino è a Venaria, a un’ora di auto, ma pazienza, io sono dentro a un documentario che cambia ogni momento, da far invidia a quelli di Geo&Geo. Viaggio da fermo, senza muovermi da casa, tra scoperte, rivelazioni, emozioni, curiosità che mi regala questa briciola di mondo persa sulle Alpi, fuori dalla geografia nota e dal turismo. La restanza è certamente il massimo dell’ecologico, con impatto vicino allo zero e la bellezza della natura che viene da me e non sono più io, zaino affardellato, ad andare da lei, come ho fatto per mezzo secolo.

Non si possono omettere le nuove contingenze climatiche. Nell’ottobre del Ventidue la sorgente si è fermata e per sei mesi abbiamo avuto bisogno della SMAT per riempire la cisterna con acqua della pianura trasportata dalle autobotti. Le ultime nevicate di marzo hanno abbattuto alberi e linee elettriche e telefoniche. Siamo rimasti tre giorni a camino e lume di candela, fino a che l’Enel non ci ha ricollegati con una linea volante che dribbla gli alberi caduti. I boschi sono abbandonati a loro stessi e la rinaturalizzazione è un processo lungo e complicato per chi continua a vivere dove l’uomo non comanda più. Insieme agli alberi cadono i muri a secco che sostenevano i campi di segale e di patate, si chiudono le mulattiere storiche, trionfano gli infestanti: al rovo, al sambuco e alla vitalba si è aggiunto l’invasivo ailanto.

Adesso che ho scritto queste note mi metto la tuta da lavoro, affilo la catena della motosega e scendo verso la strada comunale, a duecento metri da casa, per tagliare gli alberi caduti con la pesante neve di primavera. Frassini, roveri, castagni, sambuchi. Avrò una montagna di legna da accatastare e poi, tra un paio d’anni, quando si sarà asciugata e alleggerita, da trasportare in spalla alla casa di Fontanetta. Una fatica appagante, che svuota la mente e lascia spazio ai nuovi pensieri.

Riccardo Carnovalini