Di recente la parola divide applicata alla montagna è passata a significare soprattutto il digital divide, cioè il divario nell’accesso alle nuove tecnologie digitali. Ma se ci poniamo in un’ottica metro-montana possiamo estendere il significato di divide all’insieme di ciò che nella montagna rurale fa difetto, mentre è alla portata di chi vive in aree non montane. Credo che per superare questo molteplice mountain divide non basti fare l’elenco delle carenze oggettive da cui esso deriva. Occorre anche capire in che modo le sue tante facce siano avvertite dalle categorie di soggetti (abitanti, imprese, turisti ecc.) che si scontrano con esso. Infatti ogni categoria ha esigenze particolari, a cui ogni contesto montano è chiamato a dare risposte diverse, così da adattare le sue strategie territoriali ai tipi di soggetti (già presenti o da attrarre) su cui intende far leva.

Faccio un esempio suggeritomi da una ricerca che Dislivelli sta conducendo sui servizi alle famiglie. Dalle interviste risulta che non è sufficiente trovare a due passi da casa i servizi cosiddetti essenziali (piccolo commercio, farmacie, uffici postali ecc.). La maggior parte delle famiglie ritiene che la montagna sia normalmente abitabile solo se offre un’infrastruttura stradale e un servizio di trasporto pubblico che permetta di raggiungere in tempi ragionevoli i luoghi di lavoro e i centri urbani più vicini che offrono servizi non banali, come ad esempio scuole superiori, presidi medico-ospedalieri, centri commerciali, cinema, discoteche ecc. Ma questa esigenza, che nell’esperienza comune appare ovvia, sovente non è prioritaria nei programmi d’intervento rivolti a trattenere o ad attrarre in montagna la numerosa categoria delle famiglie formate da genitori che lavorano e da figli che frequentano le scuole. Come se la montagna potesse limitarsi a soddisfare chi è disposto ad affrontare disagi e sacrifici in cambio dei suoi vantaggi ambientali. Certamente anche questi soggetti possono aiutare a combattere lo spopolamento, ma non possiamo pensarli come attori capaci di porre rimedio alle carenze di cui soffre la montagna dal momento che di fatto le accettano e ad esse si adattano.

Credo che una strategia di superamento dei tanti mountain divide debba fare l’esatto contrario, cioè sforzarsi di adattare i territori alle esigenze di chi vuole vivere la montagna come, nell’esempio appena fatto, quella di abitarla senza dover rinunciare del tutto ai vantaggi della città. Ma lo stesso vale per chi vuole avviare un’impresa, per l’escursionista che ha bisogno di sentieri sicuri e per tutti quelli per cui la montagna cesserebbe di essere un divide se riuscisse a rispondere alle loro specifiche esigenze.

Beppe Dematteis