Nel 2003, un team di studiosi facenti capo all’Università della Tuscia di Viterbo, ha fatto una “scoperta” sensazionale, che ha fatto il giro del mondo, portando all’attenzione dell’ambiente scientifico internazionale le faggete d’Abruzzo. Nella pubblicazione seguita alla ricerca venivano descritte, per la prima volta, la struttura, le dinamiche e l’ecologia di una faggeta vetusta sorprendentemente “dimenticata” nel cuore dell’appennino. Stiamo parlando della foresta della Val Cervara, in Abruzzo, una faggeta di alta montagna, tra i 1600 e i 1850 metri di quota, oggi riserva integrale all’interno del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Il sentiero che permette di raggiungerla parte dalla valle e sale ripido e contorto, i passaggi sono stretti e scoscesi, ed è percorribile al massimo con un solo mulo. E’ proprio per queste difficoltà di accesso che la faggeta è stata risparmiata dal lavoro dei taglialegna, oltre che, probabilmente, anche perché in grado di contenere le devastanti valanghe primaverili appenniniche. Una volta arrivati nel cuore della foresta, alberi attorcigliati e immensi, i più vecchi d’Europa, nati prima della fine del Medioevo, alcuni dei quali superano i 560 anni di età, abbracciano gli esploratori stupiti con i loro grandi rami, bardati da muschi e lunghi licheni a barbetta. E’ una grande emozione muoversi in un ambiente così selvaggio, sedersi sotto un faggio, osservare un picchio che vola tra un albero e l’altro, (la rara specie del picchio dalmatino qui è molto numerosa), ammirare una fioritura di Scilla bifolia, una arvicola che sbuca tra le radici, con la speranza di scovare le tracce di un orso, nel bosco di caducifoglie più longevo dell’intero emisfero settentrionale.
La faggeta si trova nel comune di Villalvallelonga, in provincia dell’Aquila, ultimo centro lungo la strada che percorre la valle omonima e che oggi conta quasi 900 abitanti. Il paese ne aveva quasi 2.500 all’inizio del secolo scorso, e da allora ha vissuto tre fasi di emigrazione: la prima seguita al devastante terremoto di Avezzano del 1915, la seconda nel primo dopoguerra e, dopo una fase di relativo equilibrio demografico, dal 2001 in poi una nuova accelerazione, che ha visto il paese perdere un ulteriore 10% della popolazione. Proprio per questa fragilità demografica il comune è stato inserito nella Strategia nazionale aree interne, in una specifica area pilota, insieme ad altri 12 comuni delle valli limitrofe (la val Giovenco e la valle Rovereto). Nei tavoli di discussione nati all’interno della fase di costruzione della strategia, è emerso come i cittadini dei comuni coinvolti ritengano prioritari, per lo sviluppo dell’area, gli investimenti sulla persona, per la formazione e il benessere, prima ancora che degli interventi a favore dello sviluppo. L’area presenta una volontà e una capacità progettuale che, a partire dall’Agenda 21 Locale, ha dato il via alla sperimentazione di processi di progettazione partecipata: sono aumentati i produttori di biologico, le reti fra imprese agricole e sulle produzioni tipiche, il recupero di castelli e manufatti dismessi ad uso culturale.
Questi segnali positivi però non sembrano raggiungere Villavallelonga, il più lontano dei comuni. Oggi in paese c’è solo una scuola primaria. Il centro storico è composto da due lunghe strade costeggiate da case basse che immettono nella piazza centrale, graziosa, ma, almeno in questa fase dell’anno, pressochè deserta . Ci sono due pub vinerie, aperti solo d’estate, un bar, un negozio alimentari con pochi prodotti sugli scaffali.
L’idea di portare qui degli artisti naturalisti è nata da un gruppo di professionisti di Villavallelonga, che per la gran parte vivono ed esercitano a Roma. Queste persone, motivate dal dovere restituire qualcosa al proprio paese di origine, hanno contattato il gruppo di artisti nato intorno al “Manifesto dell’arte per la conservazione della Biodiversità”. Questo contatto ha permesso di individuare sei esponenti della Wildlife Art, un movimento artistico diffuso in tutta Europa e oltreoceano, che sceglie la natura come soggetto figurativo, ma soprattutto come luogo di lavoro: spagnoli, inglesi ed italiani, che non conoscono la valle ma che si sono resi disponibili a raccontare le loro scoperte attraverso il disegno, come antichi esploratori di luoghi selvaggi.
Per essere convincente, la Wildlife art richiede una profonda conoscenza dei soggetti da ritrarre, del loro comportamento, dei migliori luoghi da frequentare, delle differenti stagioni e una particolare sensibilità a luci e colori. Allo stesso modo il pittore deve conoscere questi dettagli, saper stare in natura, cercare. In questa ricerca riuscire a prendere appunti, fare schizzi dal vero, riempire taccuini di forme e colori è insostituibile. Spesso gli schizzi da campo hanno la capacità di restituire un istante, di catturare un movimento con una spontaneità e freschezza che difficilmente si riesce a ritrovare in quadri finiti. È una forma d’arte diretta e onesta. D’altra parte, disegnare dal vero è lo strumento più potente che abbiamo per osservare e memorizzare. Ancora oggi gli artisti della Wildlife Art sono impegnati, attraverso la conoscenza degli ambienti e delle specie che li popolano, a trasmettere l’emozione e la consapevolezza di ciò che ogni giorno stiamo perdendo.
Quest’estate, a Villavallelonga, il loro disegno diventerà apprendimento e partecipazione, e intorno agli artisti verrà attivata tutta la cittadinanza, per concludere con una esposizione delle opere, degli sketch realizzati giorno per giorno e la realizzazione di un’opera collettiva come performance d’arte che intratterrà i turisti in una calda serata di agosto. Ma questa non è una semplice operazione turistica o di marketing, ci spiegano gli organizzatori. L’essere custodi di questo tesoro può dare fiducia ad un paese che sembra senza energia e non crede più nel futuro e diventare un motivo d’orgoglio per gli abitanti, dare una speranza, per tutti gli altri abitanti del mondo, continua, in una fase critica per l’ecosistema del pianeta. Significa dare un nuovo valore al ruolo delle foreste, ed è un contributo universale che anche un piccolo paese come Villavallelonga può dare. E’ anche un messaggio dalla valle alla città di Roma, distante non più di un’ora e venti: il fatto che la gente fuori sappia che qui abbiano un tesoro così inestimabile, dice Pietro, significa promuoverne la tutela, e lo strumento per promuoverla non è quello dello sfruttamento turistico, ma della conoscenza attraverso il veicolo meno impattante e più rispettoso dei tempi naturali, il disegno. Un intervento artistico quindi, che vuole trasformare il paese intero in un progetto comunitario, così come quello che il piccolo paese aveva costruito durante l’estate del 1977: il grande raduno hippie (si parlò di circa 5.000 partecipanti), una kermesse musicale e di dibattito che ha visto la presenza di Fabrizio de Andrè, Franco Battiato, Napoli Centrale e molti altri artisti di cui oggi rimane il bellissimo racconto del fotografo Enrico Scuro (guarda la gallery).
Elisabetta Mitrovic (Illustratrice naturalista ed Educatrice ambientale) e Filippo Tantillo (Coordinatore scientifico del team di supporto alla Strategia Nazionale Aree Interne)