Come si possa far rifiorire la villeggiatura è una domanda che già si ponevano nel 1911 i fratelli Giovanni e Pasquale Milone nel capitolo di chiusura del libro “Notizie delle Valli di Lanzo”. E non erano i soli, in quegli anni, ad affrontare la questione.
Le Valli di Lanzo iniziano a essere area di sfogo per i torinesi a partire dalla prima metà dell’Ottocento. Sono figure come il conte Luigi Francesetti di Mezzenile e il conte Luigi Cibrario, originario di Usseglio, a trasmettere con i loro scritti la bellezza dei paesaggi e la cordialità degli abitanti. Ma sono anche i montanari stessi, scesi dalle Valli a Torino per impiegarsi a servizio presso famiglie aristocratiche e benestanti, a diventare ambasciatori diretti dei loro paesi.
Nel 1840 Viù era la località predominante delle Valli. Qui viene fabbricato il Casino, ove stanno il caffè, le sale da gioco e quelle di riunione e feste per i villeggianti. La costruzione della strada da Lanzo a Viù, inaugurata nel 1842, e la successiva realizzazione della rotabile da Germagnano a Ceres, conclusa nel 1857, aprono definitivamente le porte valligiane al turismo.
Iniziano gli anni d’oro. Arrivano nobili, letterati, artisti e imprenditori che spesso si “innamorano” dei luoghi, eleggendoli a loro residenza estiva e vi fanno costruire ville importanti. Esempio fra tutti il barone Raimondo Franchetti e la moglie Sara Luisa de Rothschild, che a Viù, dopo aver soggiornato in affitto, edificano nel 1861 una magnifica villa in stile svizzero, impegnandovi circa mezzo milione di lire. Non a caso, fin dal 1836 si ebbe a scrivere su “L’Annotatore Piemontese” che «noi abbiamo […] nelle Valli di Lanzo una Svizzera italiana, dove in fatto di bellezze, di cascate, di laghetti, d’alpi verdeggianti, di annose selve, d’immense ghiacciaje […] poco ci resta a desiderare».
Nella seconda metà dell’Ottocento le carrozzabili proseguono e raggiungono i comuni più alti: Usseglio, Balme e Groscavallo. La ferrovia collega Torino a Lanzo nel 1876 e Lanzo con Ceres nel 1916, compiendo anche un capolavoro architettonico nelle stazioni, pur esse nell’apprezzato stile svizzero. Così pure si stabilizza l’industria, installando centrali elettriche, cotonifici e cartiere che sfruttano l’acqua della Stura, mentre Torino si allaccia alle fonti del Pian della Mussa tramite un poderoso acquedotto.
Nel frattempo sono sorti, sorgono e sorgeranno alcuni grandi alberghi, decantati dalle guide turistiche. L’alpinismo, dagli anni Ottanta del XIX secolo, contribuisce all’accrescimento della conoscenza delle Valli di Lanzo, incentivando la frequentazione non solo in estate. Buoni collegamenti con omnibus a cavalli e poi con torpedoni trasportano frotte di escursionisti e villeggianti. Giungono le prime autovetture e i motocicli. Le Valli così animate e vive sono un’attrazione irrinunciabile per i cittadini. Anche l’editoria, con monografie approfondite e curate, supporta la conoscenza del territorio.
Ma, a inizio Novecento, emergono le avvisaglie di una decadenza che sarà, nel tempo, inesorabile. Unitamente ai fratelli Milone, un segnale d’allarme si alza proprio da Viù: su “Il Progresso del Canavese” del 25 novembre 1910 si segnala «la scarsità di villeggianti che ogni anno va accentuandosi, la mancanza di industrie e per conseguenza l’emigrazione degli abitanti in cerca di lavoro sono le cause di questo regresso».
Da fine Ottocento inizia infatti un periodo di forte emigrazione, che, se prima era attiva ma in forme temporanee, ora diventa definitiva. La pianura e la città chiedono e attraggono manodopera. I montanari lasciano frazioni e borgate, le Valli iniziano a spopolarsi. Il fenomeno si incrementa nel secondo dopoguerra ed è tuttora in opera. Così il paesaggio antropizzato man mano viene riconquistato dal bosco. Non vi sono politiche a salvaguardia dello sgretolarsi di questo patrimonio.
Oggi le Valli di Lanzo si presentano con una rete stradale antica e maltenuta, con borgate diroccate, con sentieri soffocati dai rovi. I prati sono quasi del tutto incurati, ogni anno nuove piante spuntano a soppiantare uno degli ultimi appezzamenti rimasti. L’allevamento è quasi scomparso. I nativi residenti si concentrano nei luoghi più comodi: nei capoluoghi dei comuni o nelle frazioni a bordo strada provinciale.
È un quadro triste, ma è così. Lo mette bene in mostra la recente analisi “Le Valli di Lanzo. Scenario di sviluppo”, condotta dall’Ires Piemonte e dal Politecnico di Torino per conto della Regione Piemonte, che suggerisce un ventaglio di interventi. Chissà se verranno considerati e attuati.
C’è una parola che, osservando le Valli da vicino, mi ronza in mente: «ambizione». Non la trovo nell’offerta turistica così come non la sento nelle richieste degli utenti. Il declino passa di qui, nell’assenza di qualità da entrambe le parti, nel non sentirne la necessità.
La villeggiatura non è più quella aristocratica e notabile di un tempo, ma nemmeno quella della borghesia, dei piccoli imprenditori e dei tanti artigiani che ho conosciuto dagli anni Cinquanta agli Ottanta del secolo scorso. Allora le comitive erano ancora numerose, i legami consolidati da anni di assidue frequentazioni. Il paesaggio si presentava curato, si potevano fare passeggiate, raggiungere una borgata, assaggiare la panna montata fatta col latte appena munto.
Oggi non è più così ed è veramente difficile continuare a villeggiare o essere turisti nelle Valli di Lanzo. Serve innovazione, attenzione alla qualità dell’offerta, ai migliori prodotti locali, al recupero funzionale degli edifici storici, alla pulizia dei prati, alla proposta di percorsi natura con posti tappa frequenti e adeguati, a investimenti sull’ambiente alla corretta promozione della cultura. Questo intendo per ambizione.
Bruno Guglielmotto-Ravet, Presidente della Società Storica delle Valli di Lanzo