Al limitare del paese di Saviore dell’Adamello (Val Camonica, Bs) sorge una bella costruzione in legno e pietra, che ospita l’accogliente abitazione e l’agriturismo famigliare dei bresciani Vasco Averoldi e Monica Festa, venuti a vivere qui dalla città da ormai quasi vent’anni. Li incontro in una bella giornata di fine agosto assieme ai loro quattro figli, tutti nati quassù. Si presenta Vasco: “Sono nato a Brescia nel 1969. Dopo la terza media decisi di interrompere gli studi e di aiutare mio padre nel lavoro di piastrellista. A vent’anni ebbi la possibilità di fare un lungo viaggio in Nepal, un’esperienza fondante che fece emergere in me l’amore per la montagna e il desiderio, prima o poi, di andarci a vivere. Nel 1999, giunto in Val Saviore conobbi una famiglia di allevatori con i quali trascorsi quasi un anno imparando il mestiere a contatto con gli animali. Dopo questo apprendistato acquistai alcune capre e presi in affitto una cascina in località Brata, non troppo distante dal paese. Fu in questo posto che incontrai Monica, che poco dopo si stabilì qui insieme a me”. “Anch’io sono nata a Brescia, nel 1972, dove dopo la maturità ho studiato Scienze dell’Educazione”, prosegue Monica, mentre Vasco intrattiene alcuni ospiti dell’agriturismo. “Durante l’università ebbi l’occasione di fare diverse esperienze formative tra cui un entusiasmante viaggio in Perù tra le genti di montagna. Al mio ritorno non avevo intenzione di tornare alla vita cittadina, ma di sperimentare una vita a contatto con la natura e le cose semplici. Assieme al mio ex compagno presi in affitto una cascina prima in Val Sabbia e poi in Val Trompia. Approdai a Saviore grazie all’Associazione Amici della Natura, che qui aveva fondato una propria sede, punto di approdo per molti giovani della città. Fu così che incontrai Vasco e decisi di venire a vivere stabilmente qui, nonostante per diversi anni feci avanti e indietro dalla città dove svolgevo qualche lavoretto. Per dieci anni prendemmo in affitto una casa in paese, mantenendo la baita in Brata dove trascorrevamo i tre mesi estivi con gli animali”.

Anni dopo, osservando i luoghi ben esposti al sole, la coppia matura la decisione di acquistare un edificio ormai ridotto a rudere attorniato da bosco e terreno, in località Ca’ Nöa: “È qui che nonostante le lungaggini e i cavilli burocratici siamo riusciti a costruire la nostra casa e l’agriturismo. All’epoca avevamo ancora gli animali e dalla Comunità Montana riuscimmo ad avere un aiuto economico per la costruzione della stalla e del caseificio. L’abilità manuale di Vasco, la sua esperienza in campo edile e l’uso di tanti materiali di recupero come le pietre del rudere furono fondamentali per risparmiare sui costi che altrimenti sarebbero lievitati e non sarebbero stati alla nostra portata. Per pagare le varie spese e integrare il reddito che ci derivava dall’allevamento degli animali e dalla vendita dei formaggi, Vasco riprese dopo tanti anni a fare il muratore. Dopo aver allevato prima capre e poi mucche decidemmo di tentare con le pecore, che richiedono un impegno inferiore. Il pascolo e la fienagione comportavano però un grande dispendio di energie a causa del frazionamento fondiario dei prati stabili salvati dal rimboschimento, dislocati qua e là, di proprietà di diversi possessori che spesso vivono altrove o che sono addirittura deceduti. Gli stessi costi per la registrazione dei fondi presi in comodato d’uso diventarono insostenibili: optammo perciò per semplificarci il lavoro allevando solo alcuni cavalli e polli, coltivando patate, mais e ortive in maniera del tutto naturale, senza l’uso di sostanze chimiche di sintesi. Ci piaceva l’idea di creare un’attività ricettiva per rimanere in contatto con le persone, farle stare bene e far assaggiar loro i nostri prodotti”. L’agriturismo Ca’ Nöa è pienamente attivo da un paio d’anni e, oltre a turisti e villeggianti, ha ricevuto una buona risposta tra gli abitanti locali, con i quali i rapporti non sono stati però sempre facili. “All’inizio ci vedevano in maniera un po’ sospettosa”, ricorda. “I loro figli e i loro parenti erano emigrati verso il fondovalle e la città, mentre noi, all’opposto e controcorrente, risalivamo: faticavano a etichettarci e si chiedevano cosa avevamo potuto combinare per approdare fin quassù!”, sorride. La cucina proposta è semplice e genuina e vede tra gli ingredienti base le verdure di stagione dell’orto, combinate con formaggi, carni, salse e marmellate fatte in casa. Pane e dolci sono impastati a mano, con farine biologiche. Assieme al Biodistretto di Valle Camonica, che riunisce i produttori bio dislocati lungo la Valle, l’agriturismo aderisce al progetto “Coltivare paesaggi resilienti” co-finanziato da Fondazione Cariplo, per cui sono previsti la coltivazione in azienda di cereali rustici e l’acquisto in comune di macchinari indispensabili come la mietilega, la trebbia stanziale, il raccogli-patate, facilitando quelle faticose fasi di lavoro da svolgere altrimenti a mano a causa della pendenza del terreno.
Il reddito derivante dall’agriturismo non è d’altra parte sufficiente a far fronte alle numerose spese di famiglia, sicché, se all’inizio del percorso era Vasco a procurarsi qualche lavoretto aggiuntivo, ora che i piccoli sono cresciuti è Monica a svolgere un lavoro fuori casa, come collaboratrice di una cooperativa per il recupero di tossicodipendenti. Nonostante il bellissimo ambiente naturale, la quiete, l’aria e l’acqua pulite, la vita in un piccolo paese di montagna riserva d’altra parte alcuni limiti difficilmente superabili: “Ai fini dell’attività agricola, col senno di poi sceglierei una località a quote inferiori, per permettere ad ortive e cereali di maturare in un clima più favorevole. Dal punto di vista della socialità mancano attività di intrattenimento per i ragazzi che non siano i bar e alto è il tasso di alcolismo tra i giovani del posto. La stessa organizzazione scolastica è piuttosto limitante e priva di stimoli basati sull’apprendimento spontaneo ed esperienziale. Confidando nei valori educativi libertari, sono stata tra i co-fondatori della Scuola libertaria di Valle Camonica con sede a Darfo Boario Terme, ma raggiungere la bassa Valle ogni giorno era diventato faticoso e impraticabile. Mi sarebbe piaciuto offrire ai miei figli e agli altri bambini del paese stimoli culturali maggiori e attività complementari alla scuola, come anni fa quando organizzai i cineforum, alla lunga però difficilmente conciliabili con i tanti impegni di lavoro e famiglia.”

Al termine del nostro incontro chiedo a Monica cosa consiglia a chi è all’inizio del proprio percorso di vita in montagna ma anche a chi desidera lasciare la città per trasferirsi nelle terre alte: “Dico loro di tentare, anche se non si conosce cosa riserva questa nuova esperienza. Di aprirsi al dinamismo della vita senza temere di non avere tutto sotto controllo, ed eventualmente di essere capaci di ammettere a se stessi che il tipo di vita che si era idealizzata non faccia per noi. L’importante è mettersi in gioco, e non avere paura di aprire il cassetto dei sogni”.
Michela Capra

Info: monicavasco@alice.it