Scriveva Enrico Camanni sul numero di ottobre 2015 della rivista Dislivelli.eu che oggi, per quanto riguarda le Alpi, “converrebbe parlare di ‘turismi’ al plurale. Si vanno sempre più delineando due modelli: l’industriale e l’artigianale. […] La problematicità dell’industria turistica “pesante” risalta in particolar modo nel mondo del turismo della neve, che sopravvive con i finanziamenti pubblici eppure deve costantemente ammodernarsi, investire denaro, ingigantire l’offerta. Il turismo leggero o dolce, al contrario, può permettersi una gestione più misurata e flessibile. In una parola: artigianale. Il primo rischia di cannibalizzare la materia prima – l’ambiente alpino –, il secondo può proporsi di valorizzarlo e proteggerlo al di là di ogni ragionevole guadagno, perché è proprio la qualità dell’ambiente che muove il suo pubblico verso la montagna” (leggi tutto l’articolo).

I Custodi della montagna questa differenza l’hanno ben presente. Come ci racconta Loredana, della Foresteria di Massello, in Val Germanasca: «mia mamma ha un bosco di castagne in Valtellina. Un giorno incontra una signora che coglie le castagne, proprio dove lei passa tutti i giorni. Dice alla signora che il bosco è privato e questa le risponde che non fa nulla di male, perché sta cogliendo solo i frutti caduti a terra. Mia mamma risponde che anche quelli sono suoi, ma la signora comincia a innervosirsi e le dice di non fare tante storie, e che in fondo sono loro, i turisti, che portano i soldi in valle. A quel punto lei ribatte che non è così, e che a lei il turismo non ha mai portato niente, e al limite ha portato via le sue castagne. Questo aneddoto – continua Loredana – fa capire come il turista di massa arrivi in montagna con l’idea che siccome lui paga gli sia tutto dovuto. E questo atteggiamento è proprio quello che mi ha spinta a lasciare la mia valle, la Valtellina, dove il turismo di massa si sente, e il turista passa per recarsi a sciare a Livigno. Sono arrivata qui in Val Germanasca per lavorare con un altro tipo di turismo. Perché il turismo non può essere solo quello che paga e pretende. Questo è quello che pensa la gente che va nei posti di villeggiatura montana rinomati, ma esiste tanta altra gente rispettosa e attenta ai valori e alle culture locali».
Anche Massimo, del Rifugio Selleries nel comune di Roure, in val Chisone sa bene che le forme di turismo non sono tutte uguali: «fino a pochi anni fa si puntava solo sul turismo dello sci da discesa. Il rifugio era visto come attività marginale e poco interessante. Ma da qualche anno a questa parte è aumentata la sensibilità comune, da parte di tutti, compresi gli stessi gestori delle stazioni sciistiche, che si stanno rendendo conto che se offrono anche qualcosa di collaterale allo sci riescono ad attrarre più gente. Oggi non esistono più gli investimenti a pioggia sulle stazioni sciistiche, anche quelle più piccole e a bassa quota, che rimangono aperte fino a quando c’è un po’ di liquidità e poi falliscono. Io stesso ho lavorato per cinque inverni in una di queste, a Pian Muné, e non è che quel percorso lo rinnego, come tanti altri colleghi rifugisti. Dico solo che siamo arrivati a un punto in cui ci sono sempre meno soldi da investire e bisogna pensare bene dove metterli; ci vuole un cambio di mentalità in primis da parte degli imprenditori che lavorano in montagna».

Ma cosa vuol dire attuare un “cambio di mentalità” dal punto di vista di un imprenditore nel settore del turismo montano? Ce lo spiega Danila, de La Peiro Douco di Frazione Castel del Bosco di Roure, a pochi chilometri dal Colle di Sestriere. Dove da anni ormai hanno smesso di cercare di attrarre i “turisti della neve” e hanno puntato su altri aspetti: «il passaggio da turismo di massa a un turismo dolce è stata un’evoluzione culturale che a noi ha portato beneficio. Abbiamo colto questo cambiamento in atto e ci siamo interrogati su cosa poteva offrire di alternativo il territorio. Ci siamo mossi nella promozione di ristoranti tipici e nella valorizzazione di percorsi culturali. Abbiamo ad esempio un gruppo folcloristico di balli della valle che va in giro a promuovere la cultura del territorio e anima corsi gratuiti in estate, con vestiti e abiti tipici della Val Chisone. Questa iniziativa folcloristica, come tutte le altre che abbiamo messo in campo, parte da un movimento nato da chi ama il posto in cui vive, dalle persone che vivono qui. E il turista è curioso, fa richieste particolari perché vuole conoscere la nostra realtà. Accogliamo gli ospiti con il gruppo, li accompagniamo alla visita del vecchio mulino e del forno del paese, e una volta al mese facciamo il “pan furnià” insieme a loro. E’ stata una trasformazione importante per tutti noi, che abbiamo deciso di offrire la nostra cultura, di farla conoscere al mondo per non farla morire».
Il cambiamento culturale in atto, da parte dei montanari e dei cittadini insieme, promuove una frequentazione della montagna più rispettosa e responsabile e grazie alla crescente attenzione verso questa forma di turismo dolce comincia ad apportare anche notevoli benefici sociali ed economici sui territori interessati. Ne sa qualcosa Silvia del Rifugio Galaberna di Ostana in Valle Po, un piccolo comune delle Alpi piemontesi in cui tutti gli anni si moltiplicano le iniziative “capaci di futuro”: «a volte mi spavento di come in quattro anni si siano evolute le cose. Ogni anno una inaugurazione nuova: prima il Rifugio, poi lo Spazio avventura, la Bottega dei prodotti tipici, il Centro polifunzionale. A breve sarà la volta del Centro benessere e poi chissà cos’altro. Tutte realtà fortemente volute dalla comunità intera, dove l’imprenditore privato fa la sua parte, ma è la collettività che spinge. E la clientela sta arrivando, sempre più numerosa».
Una clientela esigente certo, ma anche attenta e pronta a vedere la montagna con occhi nuovi, valorizzando aspetti naturalistici, culturali e sociali che per anni sembravano essere stati abbandonati. Luca del b&b Casa Payer a Luserna San Giovanni, in Val Pellice, sottolinea di come anche quelle ampie zone della media e bassa montagna, un tempo completamente abbandonate, oggi vivano una nuova primavera grazie all’attenzione crescente di nuovi frequentatori: «il nostro b&b è collocato all’interno di un piccolo ecosistema semi sconosciuto, spesso persino dai locali, in una piccola valle. La natura si è riappropriata dell’area, e i boschi si sono inselvatichiti». E questo oggi fa la fortuna di Casa Payer, dove gli ospiti vengono per cercare la “wilderness” dietro la porta di casa. «Se guardi questa zona da Google Earth ti accorgi che è possibile arrivare al nostro b&b da Pinerolo passando esclusivamente attraverso i boschi, senza toccare asfalto. Sicuramente non percorri sentieri di montagna famosi, ma camminare lungo tracce semisconosciute affascina molta gente».
Una delle caratteristiche del turista sweet, sicuramente la più apprezzata da parte dei Custodi della montagna, è la sua curiosità, la capacità di mettersi in ascolto e di appassionarsi del territorio e del suoi abitanti. Marco del Pitavin in Val Maira racconta: «l’ospite ideale è quello che chiede e si interessa a noi, che vuole sapere cosa facciamo, curioso di conoscere il territorio. Il nostro lavoro infatti non consiste solo nel gestire la locanda ma anche nel raccontare i nostri luoghi. Il turista che apprezziamo è quello che ha voglia di scoprire cosa c’è fuori dalla locanda. Dopodiché può essere interessato alle camminate, e in Val Maira ce ne sono per tutti i gusti, da un’ora a dieci, oppure può essere interessato all’arte, e ci sono almeno 15 chiese con affreschi a partire dal 1400, o ancora essere attratto dalla fioritura, e da fine maggio, in giungo e in autunno può trovare colori incredibili. Ma l’importante per vivere una bella esperienza è il rapporto che si instaura tra noi e loro, la curiosità, il piacere di conoscersi».
Maurizio Dematteis