Uno schema si ripete uguale ogni volta che qualcuno muore sotto una valanga: i giornali si riempiono di articoli di cronaca accompagnati dall’intervista con l’esperto di turno che condanna l’imprudenza di un’intera categoria di fruitori della montagna, freerider, scialpinisti o ciaspolatori che siano. Segue qualche giorno di dibattiti e opinioni varie, ormai alimentato febbrilmente da social network, siti internet e blog, e poi tutto cade nuovamente nel dimenticatoio ignorando chi quotidianamente lavora nell’ombra per prevenire, diffondendo cultura e informazione, un problema che esiste e va affrontato.
Presso il centro valanghe della regione Veneto ad Arabba lavora Mauro Valt, che studia, inverno dopo inverno, le statistiche riguardanti ogni incidente da valanga registrato in ambito italiano, la situazione in cui si è verificato, il numero di travolti, feriti, deceduti.
«Il lavoro di raccolta e di raffronto dei dati viene portato avanti dal 1984 – dichiara Valt – e ci ha consentito di orientare una serie di azioni per diffondere attenzione intorno al problema della valanga. È una questione estremamente complessa da analizzare, perché coinvolge categorie e tipologie di persone, di ambienti e di situazioni che rendono difficile qualsiasi generalizzazione. Dall’84 a oggi per esempio, il numero di morti da valanga si è mantenuto stabile, intorno alle 20 persone ogni inverno, ma quel che è cambiato in questi 3 decenni di rilevazioni è la tipologia dei travolti e il tasso di mortalità. Generalmente si è ridotto il numero di incidenti tra scialpinisti e alpinisti mentre negli anni ’90 è aumentato tra gli snowboarder e negli anni 2000 tra freerider e i ciaspolatori, quest’ultima una categoria che all’inizio non era nemmeno contemplata. Un dato molto importante è legato al recupero di chi viene sommerso dalla neve: dal 2004 a oggi, il 68% è stato estratto ancora vivo contro il 54% del periodo precedente. Ciò significa che la diffusione degli strumenti per l’autosoccorso, pala sonda e Arva, e le conoscenze per un loro utilizzo efficace, hanno dato buoni risultati. Ma si può ulteriormente fare meglio se consideriamo che nello stesso arco di tempo, solo il 12% dei sepolti è stato ricuperato dai propri compagni di gita. E la tecnologia si sta ulteriormente affinando come abbiamo osservato presso il nostro campo neve a Passo San Pellegrino dove gli apparecchi per la ricerca di travolti in valanga di nuova generazione consentono un discreto risparmio nei tempi. È risaputo che entro i 15 minuti dal seppellimento sotto la neve ci sono oltre 90% di possibilità di sopravvivenza che calano al 25% entro i 45 minuti. Mediamente i soccorsi hanno bisogno di un’ora per raggiungere il luogo dell’incidente; le conclusioni sono presto tratte».
Valt non è soltanto uno statistico appassionato di numeri, ma tende ad accompagnare il dato nudo e crudo a una serie di riflessioni di carattere generale.
«I fenomeni valanghivi di cui si è ampiamente parlato sui giornali, che hanno provocato 8 morti in questo inverno, tutti concentrati tra il 26 dicembre 2013 e il 6 gennaio 2014, sono da attribuirsi prevalentemente alle condizioni della neve. Le precipitazioni abbondanti cadute durante le festività natalizie poggiavano su uno strato di neve già trasformata, eccellente piano di scivolamento. Ma, a questo proposito, mi sento di affermare che il numero di morti non è legato alla quantità di neve al suolo. Anzi, durante gli inverni poco nevosi si tende a cercare condizioni ideali su pendii più esposti al vento e generalmente meno sicuri. Proprio questo introduce la questione della responsabilità personale di chi affronta la montagna d’inverno: più spesso gli incidenti coinvolgono coloro che vanno alla ricerca di un’esperienza estrema. Difatti l’aumento della frequentazione, generalmente concentrata su itinerari sicuri, non provoca un aumento delle sciagure. Sono convinto che una maggiore cultura della montagna aiuterebbe a ridurre questo tipo di fatalità. Nelle Alpi stesse, nelle scuole che frequento per parlare di prevenzione, non si trasmette una conoscenza del territorio e della sua fruizione, dei limiti personali e ambientali, della sicurezza».
Intanto, ciascuno può iniziare a coltivare la propria cultura sulle valanghe attraverso gli strumenti che l’Aineva mette a disposizione sul proprio sito internet. Bollettino valanghe, dati sugli incidenti, materiali informativi scaricabili e notizie varie sono disponibili su www.aineva.it.
Simone Bobbio