Alla fine degli anni Novanta Fabrizio Viale, con sua moglie e il loro primo figlio, si trasferiva in una borgata di Vernante, fino ad allora disabitata. In paese, a Vernante, Fabrizio lavorava come elettrauto in un’officina, mentre sua moglie gestiva una birreria. La voglia di lavorare all’aria aperta e i ritmi imposti dal locale, sempre più incompatibili con l’arrivo del primo figlio, spingono la famiglia a trasferirsi in borgata. «Là non c’era niente – ricorda Fabrizio – e per il primo anno abbiamo vissuto senza corrente elettrica». Nel frattempo la famiglia si allarga e oggi la coppia ha tre figli: il primo frequenta l’istituto superiore a Cuneo, e le altre due vanno a Vernante, dove ci sono le scuole medie ed elementari. Sono gli unici residenti della borgata.
Fabrizio, insieme ad altri tre soci, ha una ditta di raccolta, prima trasformazione e commercio del legno. «Io sono stato fortunato perché ho ereditato i terreni e il mestiere da mio suocero, con cui lavoro ancora oggi. Partire dal nulla, senza strumenti né terreni, è difficile». Il lavoro del boscaiolo è duro: Fabrizio parte alle cinque del mattino e rientra a casa alle otto di sera. Ma nonostante la crisi, la ditta è in attivo, registra buoni fatturati e sostiene quattro famiglie. L’attività principale si svolge in estate con il taglio del legname da ardere, destinato principalmente ai privati. Mentre in inverno la ditta ha un appalto con il Comune per lo sgombero della neve dalle strade.
«Uno dei principali problemi di questo mestiere – spiega Fabrizio – è l’inattività invernale». Cinque anni fa, con la nascita della Cooperativa Alpiforest, l’occasione per superarlo. La Cooperativa, che ha sede a Roccavione (Cn), conta trenta associati, provenienti dalle valli della provincia. «Alpiforest – prosegue Fabrizio, questa volta nel ruolo di Vicepresidente della Cooperativa – innanzitutto offre ai soci la possibilità di incontrarsi, condividere problemi e cercare soluzioni». Ha poi consentito l’acquisto di una macchina per la produzione del cippato, utilizzato come combustibile o come materia prima per processi industriali. L’intervento della Cooperativa si rivela fondamentale. Per l’acquisto della cippatrice innanzitutto, macchinari che richiedono un investimento iniziale di almeno duecentomila euro. E per la fornitura del prodotto: i gestori delle centrali esigono un costante rifornimento, ingente nelle quantità e distribuito lungo tutto l’anno, che una ditta individuale, da sola, non sarebbe in grado di assicurare. I contratti con le centrali a cippato della Provincia di Cuneo e con alcune piscine consentono ai boscaioli soci di aumentare i fatturati.
Fatturato in crescita, lavoro assicurato. Eppure i problemi sono ancora molti. Alcuni sono dovuti alla legge forestale regionale del 2009, poco attenta alle peculiarità del territorio quando impone la conversione dei boschi cedui a fustaia. «I boschi cedui che non sono stati tagliati per più di quarant’anni – spiega Fabrizio – devono essere convertiti in fustaia: questo significa che non possono essere tagliati prima di sessanta/ottant’anni. Il clima delle nostre valli ci consente di avere una ricaccia molto forte e ciò provoca un sovrappopolamento delle foreste».
Altri sono legati alla mancanza di una “cultura del legno” tanto nelle famiglie – che continuano a preferire il riscaldamento a metano – quanto in seno alle istituzioni. «Una maggiore collaborazione da parte delle amministrazioni locali – prosegue Fabrizio – risparmierebbe alle ditte una serie di costi e quel denaro potrebbe essere investito nell’acquisto di lotti boschivi». Le spese per assicurare la viabilità lungo le strade che usano i boscaioli sono accollate alle singole ditte. L’intervento di comuni e unioni di comuni, con il loro bagaglio di competenze, consentirebbe un risparmio in termini economici e velocizzerebbe tempi di progettazione e realizzazione.
L’ostacolo principale però è la mancanza di manodopera. Di boscaioli non ce ne sono più, forse anche perché viene considerato un lavoro non abbastanza remunerativo. «Prendiamo il caso di Vernante – analizza Fabrizio –. Se solo edifici, case e uffici del paese venissero riscaldati a legna si potrebbe fare moltissimo. A quel punto Vernante non dovrebbe chiedere aiuto a nessuno. Se solo sfruttasse il suo patrimonio boschivo non avrebbe bisogno né di finanziamenti né di contributi esterni. Sarebbe il paese ad avere qualcosa da offrire: posti di lavoro e opportunità di reddito, innanzitutto».
Daria Rabbia
Molto interessante l’articolo ed anche preciso in poche parole a mettere a fuoco le principali tematiche; mi colpisce un aspetto all’apparenza solo tecnico: il vincolo a convertire a fustaia; dunque legno più pregiato ma bisogna aspettare tutti quegli anni; sotto la scelta della fustaia rispetto al ceduo vedo due questioni culturali: vi sono preferenze per certi tipi di bosco a monte delle valutazioni scientifiche; la variabile tempo ci impone di guardare di nuovo a professioni che vanno oltre la singola generazione; una sfida incredibile sul piano delle scelte; ma chi è legittimato a fare queste scelte? I funzionari della regione, i boscaioli operativi, gli amministratori locali, i proprietari dei terreni?
Abbiamo letto con interesse il racconto del reinsediamento riuscito di una giovane famiglia in montagna basato sul recupero produttivo dei boschi montani, lasciati crescere negli ultimi decenni dopo secoli di sovrasfruttamento, che costituiscono una fonte di energie rinnovabili (legna da ardere e cippato) sostenibile dal punto di vista tecnico, economico e ambientale. La recente legge forestale regionale citata si muove proprio in tale senso; la conversione a fustaia dei cedui invecchiati è prevista essenzialmente per le faggete, e parte da una constatazione tecnica, non ideologica, in quanto il faggio con l’età perde la facoltà di ricacciare polloni e quindi di rigenerarsi. In passato il ceduo era tagliato con cicli di 20-30 anni (a sterzo, e senza motosega), ora in tutto l’arco alpino fuori dall’Italia da tempo non si governa il faggio a ceduo. Tra le regioni italiane il Piemonte è stata l’ultima a introdurre una norma per contrastare il degrado delle faggete di origine cedua invecchiate (in Friuli l’età limite è fissata a 35 anni); inoltre non si tratta di un divieto assoluto, chi intende ceduare una faggeta di oltre i 40 anni deve dimostrare che il bosco è in grado di ricacciare nell’ambito di un piano di gestione forestale. In caso contrario non si deve attendere fino a 80 anni come lamentato, la faggeta può essere tagliata con una raccolta inferiore alla ceduazione ma comunque cospicua (fino al 50% della massa legnosa, che vuol dire 100-150 tonnellate per ettaro di legna da ardere), conservando la capacità del bosco di rinnovarsi e di svolgere le altre importanti funzioni. Insomma, non si tratta di inserire vincoli o limitazioni al lavoro degli abitanti delle Terre Alte ma di scegliere tra la sostenibilità nella gestione delle risorse pubbliche o lo sfruttamento una-tantum.
Peraltro la stessa legge amplia la stagione dei tagli e introduce la possibilità di ceduare anche i boschi d’invasione, e i castagneti senza limiti; questi sono il vero volano per il cippato, il faggio come ben sanno i boscaioli è valorizzabile come legna da ardere ad un prezzo quasi triplo del cippato, a parità di costi economico-energetici per produrlo. Oggi quasi un milione di piemontesi si scaldano almeno parzialmente a legna, con un consumo di 20 milioni di quintali: l’obiettivo è far sì che siano sempre di più quelli che si servono di legno locale. Se il bosco non avesse funzioni pubbliche importantissime, a partire dalla protezione degli insediamenti montani, e fosse una coltura agricola come le altre non servirebbero norme forestali; stabilire le regole per la sua gestione spetta a tutti i soggetti coinvolti: proprietari, boscaioli, tecnici e pubblica amministrazione, solo così si può trovare l’equilibrio tra le legittime aspettative di ciascuno.
tutto bellissimo se i costi sono accessibili per i paesi,e per le comunità. tutto splendido, se i boschi tagliati non diventano il bosco degli orrori con qualche pianta secca e dove sembra sia passato il napam. senza dubbio tenere insieme ambiente e produzione penso ci voglia ancora almeno 50 anni di eperienze,però se si vuole migliorare senza per questo sentirsi offesi si può fare ma la vedo dura le politiche hanno buone idee ma non hanno ne controlli ne idea di quello che realmente succeda, purtroppo il discorso è sempre la produzione e bellezza non parlano la stessa lingua ciao a tutti