Città e montagna sono sempre più parti dello stesso sistema. Ce lo ha mostrato chiaramente la pandemia, ma ancor prima i tanti effetti derivati dal cambiamento climatico che ci fanno scappare dalle pianure infuocate, pesantemente urbanizzate e inquinate, e ai quali stiamo assistendo tristemente in questi giorni. Ma ci sono anche i problemi dovuti alla crisi di un modello economico tradizionale che trova oggi sperimentazioni interessanti e innovative soprattutto nel margine piuttosto che nel centro.
E’ in questo contesto così complesso, in movimento, ricco di segni innovativi ma anche frammentato e confuso che sta avanzando una possibile (e coraggiosa) ri-definizione dei ruoli che tradizionalmente ha considerato la montagna come luogo dell’idillio rurale che poco aveva a che fare con l’urbanità e la città il luogo frenetico e iperconnesso, fulcro dell’innovazione. Insomma urbanità e montanità erano due concetti fra loro estranei. Quello che negli ultimi dieci/quindici anni è accaduto nei territori inizia però a scardinare pesantemente questa dicotomia: urbanità e montanità si mescolano ri-configurando territori, spostando confini, creando nuove e inedite saldature. Si tratta di un fare territoriale molto “spontaneo”, assai poco codificato dentro le politiche o i programmi territoriali, soprattutto di scala vasta, che ancora promuovono una azione settoriale, facendo riferimento ad un interno in contrapposizione ad un esterno. E’ una azione che talvolta nasce da un fare strategico a livello sovra-comunale, talvolta da una evidente necessità di costruire una qualche forma pattizia, in ogni caso si tratta di cucire territori, ri-assemblare luoghi generando valore a partire dal patrimonio locale e dalla capacità degli attori e delle reti di produrre interazioni e scambi virtuosi.
Del resto come possiamo pensare ad un vero processo di ri-popolamento dei borghi senza connessioni non solo virtuali ma anche e soprattutto fisiche con i centri piccoli e medi, i quali garantiscono non solo servizi importanti, come la scuola, ma anche punti di socialità e di aggregazione. Ce lo hanno insegnato bene i Paesi del Nord Europa già quindici anni fa, i quali, nonostante una digitalizzazione territoriale che nelle nostre montagne ancora è lontana, hanno investito in multi-service point, in luoghi fisici di aggregazione per i giovani, in trasporti e collegamenti efficaci ed efficienti.
Nel recente volume collettaneo “Urbano montano. Verso nuove configurazioni e progetti di territorio” (a cura mia con scritti di Lidia Decandia, Alberto Magnaghi e Monica Bolognesi, Arturo Lanzani, Roberto Mascarucci, Simona Tondelli, Paolo La Greca, Fausto Carmine Nigrelli, Francesco Martinico, Roberto Sega, Federica Maino, Giulia Cutello, Marco Bussone, Luca Davico e Erwin Durbiano e Elisa Ravazzoli, edito da Franco Angeli, Torino) abbiamo raccolto uno spaccato, interno al nostro Paese, di questi rapporti urbano montani, mettendo in luce e ben evidenziando le sue complesse forme nelle Alpi e negli Appennini ma anche le enormi potenzialità che questi rapporti tengono dentro. In queste nuove forme territoriali ibride, che assumono declinazioni e configurazioni diverse, ci sono le basi per la ri-lettura che viene proposta e per una nuova progettualità. Progettualità che mette al centro l’importanza di una nervatura urbana di centri piccoli e medi di alta e bassa valle che supportano, come una maglia reticolare, i tanti territori emergenti. Riconoscere e valorizzare dunque una urbanità tutta interna alla montagna in grado di essere parte di un sistema virtuosamente inter-connesso con le aree urbane dell’avampaese è un atto rivoluzionario che finalmente libera la montagna dalle categorie stereotipate in cui è stata chiusa e da cui sono dipese molte delle politiche nefaste ad essa rivolte: uscendo finalmente dalla dicotomia non solo città-montagna ma anche centri turistici-luoghi dello spopolamento. Ma libera anche la città da processi fagocitanti e divoratori che la stanno facendo implodere. Il volume, così come questo numero della rivista (Dislivelli.eu n. 111 giugno-luglio 2021), vanno nella direzione di offrire riflessioni per dare forma a questi scenari territoriali che si stanno aprendo. In particolare abbiamo concentrato l’attenzione su possibili formalizzazioni dei rapporti urbano montani, che restituiscano la possibilità di un nuovo protagonismo a questi territori, che favoriscano il consolidarsi di queste relazioni e supportino progettualità fisiche sui/nei territori che possono appunto funzionare da volano di un nuovo abitare.
Federica Corrado