«Chi non include, esclude – scrive un’operatrice dell’accoglienza di migranti su un social -. Sempre più famiglie decidono di togliere il disturbo e vanno a investire il loro futuro da un’altra parte. Sì, proprio di investimento si parla, perché la vita è un’impresa su cui investi tutto il capitale che hai. È stato per me rassicurante pensare che 5 milioni di persone venute da lontano abbiano scelto l’Italia – continua l’operatrice – , il bel Paese, come terra dove mettere radici, crescere i figli, costruire il futuro. Ma di quei 5 milioni di persone che cosa ne sarà? Perché è un fenomeno sempre più consistente quello che vede intere famiglie ripartire verso altri mondi dopo decenni di vita in Italia e ciò mi procura ansia e insicurezza. Persone con il lavoro, a un passo dalla cittadinanza italiana, con figli nati e cresciuti con i nostri, se ne vanno. Ci abbandono al nostro destino. Facciamocene una ragione o gioiamo, se vogliamo. È inutile vivere nella narrazione di Stato dell’Italia invasa dagli stranieri. Siamo un paese da cui si fugge via».
All’accorato post risponde un giornalista di origine straniera con la cittadinanza italiana: «Purtroppo è così, il mio lavoro di giornalista mi porta in molti paesi europei come la Francia, il Belgio, l’Olanda. Lavoro con le comunità migranti, e devo dire che l’Italia è un paese da cui si fugge. La sua reputazione è negativa e allarmante. L’Italia è un paese in conflitto con sé stesso, che nega ai suoi figli la loro dignità. Quale futuro avranno queste generazioni nate e cresciute in Italia, con tutta questa propaganda razzista e xenofoba senza confini e pure legittimata dalla politica! In Belgio e in Francia ci sono decine di migliaia di persone che hanno lasciato l’Italia per questo. Ci sono anche italiani che hanno scelto di allontanarsi per dare un futuro migliore ai loro figli. L’Italia è un paese che sta morendo purtroppo. Chi non lo vede è complice».
Forse le parole del giornalista sono un po’ forti. Forse il nostro paese non sta poi così male, e alla fine, anche questa volta, ce la faremo. Eppure rimane un po’ dell’ansia e dell’insicurezza provate dall’operatrice in tutti noi che restiamo, che ancora ci sforziamo di credere in questo Paese. Un Paese dove il saldo naturale (nati meno morti) è negativo ormai dal lontano 1993 (nel 1993 -5.559, nel 2017 -190.910 unità). Un paese dove nel solo 2017 (Fonte Centro studi Idos) se ne sono andati all’estero ben 285 mila cittadini italiani, in gran parte giovani, segno di una mancanza di prospettiva che dovrebbe far preoccupare tutti noi. Tanto che l’Ocse lancia l’allarme: l’Italia è tornata ai primi posti per emigrati, per la precisione all’ottavo nel mondo, dopo il Messico e prima di Vietnam e Afghanistan.
Eppure l’Italia fino al 2015, nonostante il persistere del saldo naturale negativo, ha comunque sempre continuato a crescere grazie all’immigrazione. Poi la “ritirata”: 60.795.612 abitanti totali registrati al primo gennaio del 2015 contro i 60.483.973 del 2017 (ultimo dato utile). Dal 2015 comincia la discesa, e anche i residenti stranieri, che fino all’anno prima crescevano con numeri a tre cifre, negli ultimi anni crescono più lentamente. Quindi la sfiducia nei confronti del nostro paese, proprio come enfaticamente segnala il giornalista italiano di origine straniera, esiste. Facciamocene una ragione.
E se il problema dello spopolamento investe ormai tutto il territorio nazionale, comprese alcune città, figuriamoci lo stato di salute della montagna, da sempre in affanno nel tentativo di trattenere o attrarre persone per non morire.
Ma in questo scenario preoccupante da qualche anno a questa parte era comparso un flebile segnale di speranza, capace in alcuni casi di diventare un piccolo motore di sviluppo endogeno all’interno dei territori montani del nostro paese: si tratta del sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, che per effetto rimbalzo dalle realtà cittadine si è spostato verso le aree interne del paese: si tratta di ben 50.762 persone straniere (a fine 2016) giunte sulle nostre montagne ad aggiungersi a una popolazione di 20.207.344 residenti. Queste persone provenienti da tutto il mondo si sono venute a trovare all’interno di un sistema di accoglienza raffazzonato, messo su in fretta e furia per tamponare una situazione di emergenza, con luci ed ombre e la possibilità per i soliti furbetti di infilarsi e lucrare sulla pelle della povera gente (vedi Mafia Capitale). Eppure all’interno di questo confuso mondo magmatico dell’accoglienza, tra pochi progetti capaci di coinvolgere direttamente le amministrazioni locali e molti gestiti da realtà più o meno professionali, qualcosa di buono è nato e stava crescendo, come raccontiamo in maniera dettagliata nella nostra ultima pubblicazione, che presentiamo di seguito (link). E sì, perché la società civile montana, fatta di piccole comunità, di paesi ridotti al lumicino ma anche di capacità e potenzialità che non ti aspetti, si è organizzata a macchia di leopardo lungo tutto l’arco alpino e appenninico, dando vita a progetti in cui il privato sociale lavorava a stretto contatto con le amministrazioni comunali, i servizi territoriali, le Prefetture e qualsiasi risorsa residua potesse esserci sul territorio. Di più, in alcuni casi i confusi strumenti messi a disposizione dall’accoglienza sono serviti a chi lavora in buona fede per creare nuovi servizi e opportunità per tutta la comunità artefice dell’ospitalità, con arrivo di nuove persone, risorse economiche e formative di cui oggi godono tutti i cittadini, stranieri e autoctoni.

Poi è arrivato il Decreto sicurezza, ribattezzato Decreto Salvini, fortemente voluto dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri, che ha cambiato ancora una volta le regole lasciando beneficiari e artefici dell’accoglienza nella confusione totale: operatori licenziati, ospiti lasciati per strada, progetti interrotti e tutto ciò che ne consegue. Ma soprattutto, ancora una volta, le comunità montane che avevano ben inteso gli strumenti dell’accoglienza ed erano riuscite a sfruttarne le opportunità a vantaggio di tutto il territorio, con sindaci, pro loco, forze dell’ordine, parrocchie e chi più ne ha più ne metta, si vedono svilite, tradite, umiliate. Persone ormai entrate nelle reti locali, conosciute e stimate se ne dovranno andare, lasciando dietro di loro ancora una volta incuria e abbandono. Perché come diceva l’operatrice in apertura di questo articolo, chi con include esclude. E questo vale tanto per le persone che per i territori.
Maurizio Dematteis