La ricca villeggiatura che ha caratterizzato gli albori dello sviluppo turistico è ormai affidata alla nostalgia e quella risorta con l’espansione delle seconde case al seguito del boom economico sta evidenziando tutti i suoi limiti. A differenza di un tempo, pochi ormai dispongono di tanto tempo da dedicare alle vacanze e le abitazioni temporanee, nemmeno tutte, sono aperte per pochi giorni l’anno, qualche settimana se il caldo della pianura è insopportabile. Sono solo un ricordo gli anziani che da giugno animavano i nostri paesi coi nipoti e vi rimanevano fino all’inizio della scuola, raggiunti durante le ferie dal resto della famiglia. Abitudini che alimentavano l’economia, la socialità, le scelte amministrative e che trasformavano il villeggiante in un residente temporaneo, tenuto in gran considerazione. Oggi, le nuove generazioni di lavoratori stressati e di pensionati benestanti dedicano il loro poco tempo libero a mete lontane sempre diverse, mentre le valli rappresentano solo un ripiego per i tempi morti. Ciò ha implicato un cambio di scenario, difficile da comprendere e quindi da gestire.

Balme, piccola realtà in cima alla Val d’Ala, dopo il lento ma inesorabile crollo dell’economia turistica di fine Novecento che ha portato alla chiusura di alberghi e attività commerciali, trascinando con sé spopolamento e invecchiamento della popolazione residente, ha tentato non senza difficoltà di risollevare le proprie sorti guardando con occhi diversi al turismo. Rivoluzionando un po’ le convinzioni più radicate che vedevano nello scimmiottìo delle grandi stazioni sciistiche invernali la soluzione a tutti i problemi ha scelto, prima con interventi pubblici seguiti a ruota da quelli privati, di accattivare un fruitore più attento alle singolarità ambientali, paesaggistiche e culturali del luogo. Il turista che frequenta oggi Balme, lo fa perlopiù per trascorrere una o più giornate in un ambiente naturale abbastanza integro, per escursionismo, da quello facile, compreso quello per disabili a quello alpinistico, a quello delle vie alpine come la Gta (che porta ogni anno un numero importante di stranieri), per una significativa offerta che arricchisce il soggiorno (ecomuseo, parco avventura, palestre di arrampicata). E poi Balme dispone del Pian della Mussa, splendido altipiano che, per quanto se ne dica, con l’introduzione dei parcheggi a pagamento ha selezionato positivamente la schiera dei propri fruitori mettendo un freno al devastante concetto di “terra di nessuno” che ne caratterizzava il recente passato. Rivoluzionaria poi per l’economia è stata la scoperta delle ciaspole e dell’escursionismo sulla neve, fenomeno che ha reindirizzato le strategie del turismo invernale precedentemente rivolto all’improbabile sviluppo dello sci alpino (che pure esiste in termini ridotti e che a sua volta alimenta una sua piccola economia di riferimento).

Non tutto luccica e le nuove attività che hanno aperto i battenti e i nuovi residenti che pur timidamente tornano ad abitare le case anche nei posti più disagiati, non bastano a far dimenticare la fragilità di un’economia che nelle valli di Lanzo dipende ancora in prevalenza da un estenuante pendolarismo verso la pianura che solo l’ostinata volontà di chi lo pratica non trasforma in definitiva emigrazione.
Resta importante l’agricoltura (oltre 500 aziende nel territorio valligiano) che solo quando cede a un certo compromesso con la modernità – luce elettrica, strade di accesso agli alpeggi, adeguati locali di caseificazione, accesso a internet e telefonia, marketing – diventa economicamente (e umanamente) sostenibile.
Se si vuole pensare una ricetta per il futuro degli abitanti e del territorio valligiano, forse la soluzione sta nel giusto connubio tra turismo e villeggiatura, tra attività artigianali e attenzione al paesaggio, tra agricoltura e cura del suolo, sfruttamento energetico e responsabilità ambientale, senza tralasciare l’elemento della pluriattività che è molte volte la soluzione reddituale più praticata dai residenti. Di tutto un po’ insomma, incentivando anche il lavoro a distanza e le occupazioni intellettuali più innovative.
Ma i sogni possibili fanno ancora troppe volte a pugni con la realtà: strade strette, pericolose e maltenute, linee telefoniche divelte dalle nevicate e mai ripristinate, zone d’ombra per telefoni cellulari e banda larga, servizi sanitari lontani o insufficienti (si provi anche solo a chiedere una visita pediatrica a domicilio in inverno…), trasporti pubblici inadeguati rispetto alle esigenze, servizi postali a singhiozzo e consegna pacchi impossibile da ottenere da parte dei corrieri…
L’elenco delle cose fatte, di quelle sbagliate e di quelle da fare potrebbe essere infinito ma qualche spiraglio si intravede e probabilmente non tutto è perduto. Nelle mani e nella testa delle poche, o preferibilmente delle tante persone di buona volontà sta il buon risultato. Come nella bella favola africana del colibrì che durante l’incendio della foresta, mentre tutti scappavano, portava la sua goccia d’acqua per spegnere le fiamme, è fondamentale che ognuno faccia la propria parte.
Gianni Castagneri

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