La fine dell’estate non ha portato con sé novità positive per gli immigrati stranieri nel nostro Paese, che vivano in pianura o nelle terre alte. Al contrario, si è inasprito un clima sociale e politico già difficile, in un susseguirsi di eventi che vanno dal violento sgombero di Roma del 24 agosto scorso, ai ripetuti atti intimidatori contro le organizzazioni – ma anche rivolti ai singoli cittadini – che ospitano i richiedenti asilo e protezione internazionale, per poi passare al ritiro della proposta di legge sullo ius soli (che avrebbe dato finalmente cittadinanza ad un milione di bambini e ragazzi di origine straniera nati in Italia), sino ad un rinnovato impegno della UE in una politica di sostanziale contenimento/respingimento dei migranti verso i loro Paesi d’origine, o comunque fuori d’Europa.
In questo quadro preoccupante sembra più che mai opportuno discutere di concrete e realistiche politiche di accoglienza rivolte agli stranieri, non in nome di atteggiamenti buonisti e irresponsabili, quanto piuttosto insistendo sulla necessità e sull’opportunità di forme di intervento coordinate e pianificate, tese a favorire l’inserimento dei migranti (con modalità e quantità da calibrare, naturalmente) laddove non solo è possibile, ma è anche opportuno o addirittura necessario. Laddove, se ben gestito, questo inserimento di popolazione straniera può essere la principale occasione di rinascita dei luoghi e delle comunità, come in tanta parte delle terre alte italiane.
In questo rincorrersi e rinforzarsi reciproco tra paure sociali incontrollate e atti politici a carattere emergenziale e securitario, rischia infatti di scomparire dai media e dal dibattito proprio quella parte del Paese che non è riconducibile alle logiche urbane e planiziali, tipiche della megalopoli padana o della Capitale. In questo territorio “di provincia”, spesso fuori dai riflettori mediatici, per quanto spazialmente maggioritario, come sappiamo vive invece una quota ormai rilevante degli stranieri – tra “migranti economici” e “montanari per forza” – distribuiti in modo capillare tra Alpi, Appennini e “aree interne” in generale. Di queste persone, e degli italiani che insieme a loro cercano – non senza conflittualità e incomprensioni – di costruire un diverso approccio allo sviluppo locale e all’accoglienza dell’altro, si è discusso e si discuterà in diverse occasioni durante l’autunno, tra seminari, convegni e incontri informali.
Una prima occasione si è appena offerta, con l’XI convegno nazionale dei Sociologi dell’Ambiente, che si è tenuto ai piedi dell’Appennino marchigiano, a Chieti, il 22-23 settembre scorsi, intitolato “Mutamenti ambientali, territori e dinamiche migratorie”. Oggetto di discussione è stato il fenomeno dei “profughi ambientali”, ovvero quella crescente quantità di persone che non lasciano “per scelta” il proprio contesto esistenziale e culturale alla ricerca di una vita migliore, né che raggiungono familiari già interessati da una precedente esperienza migratoria, ma neppure persone che fuggono guerre o dittature, per quanti legami possano esserci tra variabili politiche ed ambientali. La categoria dei profughi ambientali abbraccia infatti milioni di persone che hanno lasciato le proprie case a seguito di faraonici programmi di “sviluppo” (quali le grandi dighe), così come quelli che abbandonano le proprie terre rese invivibili dalle trivellazioni petrolifere (è il caso del delta del Niger). O ancora, quanti sono costretti a lasciare i propri contesti esistenziali per ragioni legate alle conseguenze dei mutamenti climatici o a fenomeni di natura geologica (terremoti, tsunami, innalzamento del livello dei mari). Le presentazioni discusse a Chieti (alcune delle quali centrate sulla presenza forzosa di profughi ambientali nelle terre alte del nostro Paese) hanno investigato come, nel caratterizzare le migrazioni ambientali, push factor legati al degrado ecologico si colleghino alla frequente assenza di pull factor, cioè di attrattive, rispetto ai contesti verso i quali si emigra “per forza”. A sottolineare il carattere globale delle interdipendenze, le migrazioni ambientali creano infatti un legame problematico tra due territori – l’area da cui si emigra e quella verso cui si emigra – laddove la prima è interessata da forme di degrado, mentre l’altra appare sovente impreparata ad accogliere e gestire nuovi flussi che, in un futuro anche prossimo, si annunciano sempre più consistenti.

Foto Claudio Fontana, richiedenti asilo in Cadore

L’agenda degli incontri autunnali in tema di immigrazione e di nuova vita in montagna si arricchisce poi di un secondo interessante momento di confronto, che si terrà ancora in Appennino, nel piccolo borgo medievale di Berceto, in provincia di Parma. Qui, il 4 e 5 novembre, si svolgerà la seconda edizione del Pfam (Piccolo Festival di Antropologia della Montagna, unico del suo genere in Italia), promosso, tra gli altri, dallo scrittore Mario Ferraguti e che quest’anno si presenta così: “È diffusa la percezione che la montagna sia immobile, soprattutto per chi la guarda da lontano. Ma la montagna, forse in modo più lento e profondo, si trasforma”. Con una specifica attenzione al mutare (sociale e culturale, innanzitutto) della montagna italiana, il denso programma del festival prevede, tra gli altri, un incontro con il nostro Enrico Camanni – sui rapporti (spesso ineguali) e gli scambi di risorse tra montagna e città – e uno con Erminio Ferrari, sul nesso storico tra migrazioni transfrontaliere e contrabbando. L’antropologo Marco Aime, attento studioso delle culture montane, discuterà invece di turisti, viandanti e viaggiatori nelle terre alte, mentre Gianni Tarantola presenterà l’esperienza antica dei librai itineranti in Lunigiana. Ci sarà anche spazio al dibattito sul tema dei “montanari per forza”, con un dialogo tra chi scrive e l’antropologa Maria Molinari, operatrice in un progetto di accoglienza Sprar attivo nella zona di Berceto. Durante il festival si terranno inoltre spettacoli teatrali (tra cui, un “Viaggio tra le creature magiche dell’Appennino”), concerti dal vivo (ospite, tra gli altri, la Banda Benelli, che suona musica tradizionale della Val di Magra-Lunigiana), escursioni guidati nei dintorni (“Passeggiar nel bosco mentre il lupo dorme”), mostre fotografiche e workshop per i bambini.

Foto Claudio Fontana, richiedenti asilo in Cadore

Un terzo appuntamento autunnale, infine, lo troveremo spostandoci sulle Alpi orientali, a Bolzano, i prossimi 23-24 Novembre. Qui, presso la sede di Eurac Research, si terrà il seminario “Immigrazione straniera nelle Alpi”, organizzato dalla rete di ricercatori e di operatori del settore, che si è costituita in occasione del convegno internazionale svizzero di Salecina, lo scorso mese di maggio. Organizzato con la partecipazione attiva di Dislivelli, l’incontro vedrà interventi innanzitutto finalizzati ad aggiornare i dati e le riflessioni sulla presenza straniera nelle Alpi, frutto in primis del lavoro di ricerca e di studio del network internazionale “Foreign Immigration in the Alps”. Qui parleranno, sul versante italiano, Alberto Di Gioia (geo-mappatura dei “montanari per forza”), Pier Paolo Viazzo e Andrea Membretti (negoziazione e mutamento culturale), Federica Corrado e Maria Anna Bertolino (presenza straniera e recupero paesaggistico-architettonico), Ingrid Kofler e Anja Marcher (reti sociali e accoglienza nei piccoli comuni), Thomas Streifeneder e Miriam Weiß (progetto europeo PlurAlps), Giulia Galera (politiche e normative sui richiedenti asilo), Roberta Medda (nuove e vecchie minoranze nelle Alpi). Sul versante d’Oltralpe, invece, ci saranno gli interventi di Ingrid Machold per il caso austriaco (immigrazione e politiche regionali) e di Rebekka Ehret per quello svizzero (immigrazione e molteplicità culturale).

Foto Claudio Fontana, richiedenti asilo in Cadore

Il convegno ospiterà anche una tavola rotonda (coordinata da Maurizio Dematteis), sul ruolo degli stranieri nel neo popolamento montano, a partire dalla presentazione e discussione di casi di successo rispetto all’accoglienza e all’inclusione sociale (partecipano: Pacefuturo – Biella, Coop. soc. Akrat – Bolzano, Giardini Salewa – Bolzano, Sprar Valcamonica – Brescia, Allevamento “La Capra Felice” – Trentino, Coop. di comunità Cadore – Belluno, Consorzio Monviso solidale – Piemonte). L’incontro sarà infine occasione per presentare pubblicamente in anteprima il volume collettivo , “Per forza o per scelta. L’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini” (a cura di Membretti, Viazzo e Kofler), per le edizioni Aracne, che uscirà proprio alla metà di novembre (e su cui torneremo più diffusamente sul prossimo numero di Dislivelli).
La fine dell’estate apre dunque le porte ad un autunno importante per quanti credono che le Alpi – e gli Appennini – possano continuare ad essere “terra d’asilo e terra di rifugio”: le conoscenze scientifiche, le reti sociali e i progetti che funzionano, in grado di produrre politiche dal basso rispetto al fenomeno migratorio in montagna, non mancano. Questa, perlomeno, sembra una buona notizia.
Andrea Membretti

Info incontro a Bolzano: https://goo.gl/k8gcLE