Louis Oreiller con Irene Borgna, “Il pastore di stambecchi”, Ponte alle Grazie 2018, pp. 176, 14 euro

Molti lo leggeranno come una storia romantica, vicenda d’altri tempi, ma il lavoro di Irene Borgna è di più. Da antropologa dotata di sguardo acuminato e penna leggera, una delle migliori, oggi, tra le penne di montagna, l’autrice savonese tenta il difficile e delicatissimo esperimento di “tradurre” una vita, registrando il racconto autobiografico del montanaro Louis Oreiller e trasformandolo in molte cose: romanzo, descrizione storica, interpretazione antropologica, lettura di un luogo, lettura di un’epoca.
Certo il personaggio è eccezionale: nato a Rhêmes-Notre-Dame in Valle d’Aosta, classe 1934, Oreiller è stato bracconiere, contrabbandiere, pastore, manovale, boscaiolo, guardiacaccia e guadiaparco, senza mai piegarsi ad alcuna regola e alcun potere. Porta in sé una di quelle anime libere che hanno fatto grandi certi montanari, sempre più dimenticati e fuori moda, interpreti dell’irripetibile relazione tra uomo e foresta, uomo e animale, uomo e natura, quando la montagna era ancora un lavoro fatto a mano. «Ho regnato su quel reame – dice Oreiller – non perché era mio ma perché gli appartenevo». La sua visione sembra ribaltare l’attuale rapporto dei valligiani e dei cittadini con le montagne: non sono le rocce e i boschi ad appartenerci, siamo noi piuttosto, se accettiamo il gioco fino in fondo, che possiamo faticosamente diventare uomini e donne della montagna.
Oreiller lo racconta con grande chiarezza, insieme a una miriade di dettagli e osservazioni, incontri e scontri, storie divertenti e tragiche; Borgna traduce in linguaggio secco e poetico allo stesso tempo, comunque chiaro, vibrante, contemporaneo. Ora molti potranno leggere, capire e forse amare la lunga vita del vecchio montanaro.
Enrico Camanni