Il Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) è figlio di una decisione coraggiosa e storica dell’Unione Europea: rispondere alla crisi economica e sociale provocata dalla pandemia con un Piano di investimento di largo respiro, attento al futuro della prossima generazione di europei. Un Piano chiamato appunto Next Generation EU che si pone l’obiettivo, coerente con il Green Deal europeo, di costruire un’Europa più moderna e attenta al disagio sociale, capace di far fronte alle sfide del digitale e della crisi climatica. Un Piano che può contare su ben 750 miliardi di euro da raccogliere sui mercati con l’emissione di obbligazioni, facendo debito garantito in solido da tutti i paesi dell’Unione Europea. Una risposta, molto diversa da quella che l’Europa purtroppo diede alla crisi finanziaria mondiale del 2008, che sta permettendo di fare un passo avanti nella costruzione di un’Europa solidale.
Per utilizzare tali risorse l’Europa ha chiesto Piani nazionali ben definiti: investimenti, riforme, obiettivi, traguardi, tempi di realizzazione. Ha posto anche il rispetto di alcune condizioni, tra cui: almeno il 37 per cento delle risorse per la conversione ecologica ed energetica, almeno il 20 per cento per la transizione digitale e tutti gli interventi devono rispettare il principio di non arrecare un danno significativo all’ambiente e al clima (Do No Significant Harm). Grazie a tale principio alcune proposte dell’Italia che intendevano finanziare fonti fossili sono state rimandate al mittente.
L’Italia è il paese che beneficia maggiormente delle risorse del Fondo europeo di Ripresa e Resilienza. Ci sono stati assegnati 191,5 miliardi di euro (68,9 di sovvenzioni e 122,6 di prestiti) da spendere tassativamente entro il 2026. Il PNRR può contare anche su 13 miliardi del Fondo React EU e su 30,6 miliardi di risorse nazionali del Fondo Complementare, per un totale complessivo di 235,10 miliardi di euro.
In aggiunta al PNRR, ci sono altre risorse su cui l’Italia può contare fino al 2027: 83 miliardi dai Fondi strutturali europei, 73,5 miliardi dal Fondo Sviluppo e coesione (l’80% per cento per le regioni del Mezzogiorno) oltre alle risorse ordinarie del Bilancio dello Stato. Risorse ingenti quindi, anche se non infinite, per imprimere una direzione di vero cambiamento nel nostro paese. Come tutti affermano è un’occasione irripetibile, a condizione però che riusciremo a spenderle e, soprattutto, spenderle bene.
Avere una visione sull’Italia
Per spenderle bene il presupposto è quello di avere una visione sul nostro Paese, almeno al 2030, verso cui far convergere coerentemente tutte le risorse e le riforme, evitando la frammentazione degli investimenti e le misure contraddittorie. È sempre dietro l’angolo il rischio che i cattivi progetti usciti dalla porta del PNRR rientrino dalla finestra delle altre fonti di finanziamento. I criteri di partecipazione ai bandi e avvisi, per accedere alle risorse, devono essere coerenti con le indicazioni e le sollecitazioni dell’Europa. Faranno la differenza le capacità progettuali che saremo in grado di mettere in campo per avere progetti di qualità e realmente utili. Una volta selezionati i progetti da finanziare, la fase realizzativa delle infrastrutture, delle opere pubbliche e dei servizi (dai criteri inseriti negli appalti per selezionare le imprese alla qualità delle maestranze, dagli impatti e i risultati che si avranno a livello territoriale e sociale ai tempi di realizzazione) ci dimostrerà l’efficacia della spesa.
Il percorso è in salita e accidentato: avrà bisogno delle migliori risorse intellettuali, tecniche e amministrative del Paese. La mobilitazione e la partecipazione dei soggetti sociali e delle comunità territoriali saranno determinanti se vogliamo riuscire nell’impresa di superare i deficit strutturali del nostro Paese, le disuguaglianze territoriali e sociali, fare i conti con la crisi climatica, realizzare il massimo dell’innovazione sociale, produttiva ed ambientale. Non è una perdita di tempo la condivisione coi territori per realizzare in tempi rapidi e certi le opere del PNRR. Condizione necessaria, anche se non sufficiente, per la partecipazione della società civile è la trasparenza, dal livello nazionale a quello regionale e locale. Ad oggi il Governo e le Regioni non hanno ancora predisposto una piattaforma con dati aperti e informazioni corrette e verificabili per permettere a tutti un efficace monitoraggio e controllo. La trasparenza aiuterebbe a prevenire anche i fenomeni di corruzione e illegalità.
In questo contesto, è auspicabile che i territori montani assumano centralità considerato che rappresentano ben oltre la metà del territorio italiano ed è una realtà estesa lungo tutto lo Stivale.
Crisi del fenomeno urbano
Nel pieno della pandemia è stata evidente la crisi del fenomeno urbano alimentato a scapito del resto del territorio. Si è diffusa la consapevolezza che, per migliorare la vita di tutti, bisogna operare per nuove relazioni tra realtà territoriali piccole, medie e grandi e rimuovere le fragilità che si sono sedimentate nei decenni con l’abbandono di tanti territori montani.
Non è affatto scontato però che la maggiore consapevolezza produca di per sé atti conseguenti e concreti. Non servono né un approccio risarcitorio né progetti di sviluppo calati dall’alto. Si parta dai bisogni, in chiave contemporanea, delle comunità che vi abitano: messa in sicurezza del territorio per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici e gli eventi sismici, infrastrutture, servizi, valorizzazione delle proprie risorse. Insomma, si tratta di creare un contesto favorevole che offra opportunità di lavoro e di impresa ai giovani che hanno scelto di rimanere e a chi potrebbe tornare e scegliere di vivere in quei luoghi.
Le risorse ci sono, non ci sono più alibi. Tutte e sei le missioni del PNRR offrono opportunità di investimento per le terre alte e i piccoli comuni. Alla Strategia per le Aree interne e Montane vengono destinati 830 milioni per il potenziamento dei servizi sanitari e sociali; le comunità energetiche nei piccoli comuni possono contare su un fondo di 2,2 miliardi; 140 milioni sono destinati alla realizzazione di 30 Green Communities; 1 miliardo è destinato alla rivitalizzazione dei borghi; 600 milioni per la valorizzazione del paesaggio rurale. Ed ancora: infrastrutture digitali e della mobilità, scuole e asili nido, manutenzione del territorio, economia circolare, itinerari ciclopedonali, agricoltura.
La crisi climatica
Bisogna avere chiaro su cosa investire e su cosa non investire. Le azioni di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica sono l’anima del Green Deal e va interpretata al meglio per uno sviluppo sociale ed economico duraturo. Per evitare lo spreco di risorse sarà fondamentale progettare su scala territoriale, mettendo a valore risorse e connessioni.
I primi bandi del PNRR stanno già evidenziando alcune difficoltà che rischiano di aumentare le disuguaglianze territoriali invece che combatterle. I tempi stretti favoriscono le amministrazioni che sono già dotate di una buona pianificazione, programmazione e di competenze progettuali a scapito dei Comuni più fragili, vale per il Sud e per molti piccoli comuni.
Insomma, i titoli delle misure sembrano giusti, lo svolgimento è da scrivere.
Maria Maranò