Raffaele Occhi, “Alfredo Corti, dall’alpinismo alla lotta partigiana”, Beno Editore, Sondrio 2018, 275 pagine, 25 euro.
Alfredo Corti ha attraversato tre quarti del Novecento dividendosi tra due passioni: l’alpinismo e l’insegnamento delle scienze naturali. Nato a Tresivio in Valtellina nel 1880 e morto a Roma nel 1973, il professor Corti ha lasciato molta vita dietro di sé pur restando lontano dagli onori accademici e dalla fama. È un personaggio chiave per comprendere il rapporto tra montagna e scienza, che in lui si fa così stretto da non distinguere quasi le due dimensioni. Era un uomo libero, austero e tutto di un pezzo, libero nel pensare ma intransigente nel decidere da che parte stare. Per questo è stato anche partigiano durante la Resistenza, nonostante l’età avanzata. Ha percorso metodicamente le montagne delle Alpi Retiche scrivendo guide e monografie di pregio. A Torino ha conosciuto le Alpi occidentali e si è legato a molti alpinisti del Ventennio e del dopoguerra, sposando lo spirito dei “senza guida”. Ha scalato ed esplorato fino a settant’anni suonati, senza mai diventare un cacciatore di “prime” o un collezionista di vette. Uomo di antico stampo e scienziato di rigida osservanza, andava in montagna per capire e divulgare.
Corti era anche un fotografo di valore. Ha lasciato un’elegante e ricca raccolta di immagini alpine in bianco e nero, che finalmente sono catalogate, commentate e pubblicate in questo splendido volume di Beno Editore con il valido supporto storico di Raffaele Occhi. Il biografo ha indagato e svelato la vita del professore con un attaccamento quasi filiale, ricostruendo novant’anni di vita sua, dei suoi amici e della storia d’Italia. I nipoti di Corti sostengono che ormai conosca il nonno meglio di loro.
Un libro necessario, insomma, che ci aiuta a mettere insieme alcuni fili del Novecento e a convincerci, se ancora ne avevamo bisogno, che l’alpinismo è scelta etica, estetica e culturale.
Enrico Camanni