L’attraversamento delle Alpi ha rappresentato una sfida fin dall’antichità, allorquando la catena alpina veniva percepita dalle pianure antistanti alla stregua di una barriera insormontabile. In epoca romana, le strade consolari incominciarono a penetrare nella massa orografica della montagna riuscendo ad oltrepassarla con non poche difficoltà. L’obiettivo era quello dell’attraversamento da Sud a Nord per accedere alle pianure dell’Europa centrosettentrionale. L’idea di creare collegamenti intra-alpini esulava totalmente dalle esigenze del tempo. L’imperativo categorico della filosofia viabilistica alpina era quello di valicare direttamente le montagne lungo assi perpendicolari alla displuviale principale. La montagna costituiva un ostacolo naturale al passaggio delle merci e delle persone. Le Alpi non erano uniformemente abitate e gli insediamenti non si spingevano ancora a quote considerevoli, sebbene si trovassero prevalentemente su versanti a mezza costa e non su fondovalle insicuri. Dopo l’anno mille, le Alpi diventano obiettivi di politiche demografiche rivolte ad una progressiva colonizzazione rurale degli spazi disabitati. Ciò segnerà l’avvio alla realizzazione di insediamenti stabili e distribuiti in maniera capillare. Da questo inedito stato di cose, caratterizzato dall’esigenza delle popolazioni neo-insediate di “stare nelle Alpi” anziché di superarle per andare oltre, deriverà una nuova concezione orientata a realizzare collegamenti inter-vallivi all’interno del perimetro territoriale alpino. La costruzione di sentieri e mulattiere servirà sempre di più a questo scopo. La situazione viabilistica non cambierà molto nel corso dei secoli successivi finché i nuovi scenari delineati dalle società moderne e dagli Stati nazionali, rivolti a cambiare radicalmente la geopolitica degli Stati di Antico Regime, non porteranno alla realizzazione, in epoca napoleonica, di strade che privilegeranno i fondovalle rispetto alle alte vie di arroccamento. I valichi minori delle montagne dovranno cedere il passo ai grandi valichi di nuova concezione, come il Sempione fra Milano e la Francia attraverso il Vallese svizzero. Tuttavia, la grande rivoluzione trasportistica avverrà nel secolo successivo – l’Ottocento – in concomitanza con l’avvio della rivoluzione industriale. Protagonista di questa trasformazione epocale sarà la macchina a vapore e l’invenzione della strada ferrata. I vantaggi derivanti dalla nascita della ferrovia saranno immediatamente evidenti, soprattutto lungo percorsi pianeggianti. L’acclività dei terreni di montagna sembrava opporre non pochi ostacoli all’estensione del trasporto su rotaia oltre determinate pendenze. Ma il vantaggio derivante dall’incremento della quantità delle persone e delle cose trasportate rispetto ai mezzi stradali, ancora affidati alla trazione animale, era palese. Così, anche le perplessità causate dai problemi tecnici di aderenza fra ruota e rotaia, verranno gradualmente superate. Dopo il 1840 l’interesse a realizzare strade ferrate attraverso le Alpi incomincerà ad accentuarsi e, in tal senso, verranno messi a punto progetti anche molto ambiziosi. Nella Svizzera federale le politiche di «democrazia ferroviaria» tenderanno a garantire condizioni di trattamento favorevoli e bilanciate fra i Cantoni. Ciò faciliterà l’integrazione di una visione ferroviaria tendente ad assicurare principalmente relazioni transalpine a scavalco della catena principale con una diffusione di linee intra-alpine lungo le valli longitudinali. Si creerà, pertanto, un reticolo di linee in mezzo alle montagne che avranno il vantaggio di facilitare il crescente turismo alpino. La concezione elvetica di “ferrovia di montagna” sarà una soluzione vincente, valida ancora ai nostri giorni. Le ferrovie transalpine a lunga percorrenza dovranno necessariamente tenere conto di pendenze contenute entro i 20-30 millimetri per metro o poco più. Oltre questi limiti oggettivi di aderenza, ad eccezione della Ferrovia del Bernina in semplice aderenza (70×1000), si deve ricorrere alla cremagliera e alla ruota dentata, introdotte in Europa dallo svizzero Niklaus Reggenbach. Tale soluzione tecnica porrà le premesse per la realizzazione delle ferrovie secondarie di montagna rendendo possibile il superamento di dislivelli del 300 per mille. Basti pensare all’estensione capillare delle Ferrovie Retiche nel Cantone dei Grigioni. Con il “sistema Locher” verrà ampiamente superata tale soglia per mezzo della ferrovia del Pilatus, capace di raggiungere i 480 metri di dislivello per chilometro.
Anche l’Austria, con le linee di grande comunicazione attraverso i passi del Semmering, dell’Arlberg, dei Tauri e del Brennero, inaugurerà la stagione delle ferrovie transalpine di grande comunicazione mentre, per le linee secondarie a vocazione turistica con cremagliera, nasceranno i progetti della Zillertal e dello Schneeberg. L’apertura dei trafori sarà determinante per accelerare i collegamenti transalpini riducendo le pendenze entro i limiti accettabili di aderenza naturale. L’avvento della motorizzazione privata segnerà, invece, la fine della grande epopea ferroviaria. Tuttavia, mentre nei Paesi transalpini il trasporto su ferro manterrà buoni standard di qualità e non vi saranno grosse dismissioni di linee ferroviarie, in Italia la situazione sarà destinata a precipitare. Basti pensare alle sospensione del servizio su 14 linee del Piemonte negli anni 2012-2013. Le ragioni di tale scarsa attenzione al trasporto ferroviario vanno ricercate sia nelle forti spinte sui decisori politici, nel secondo dopoguerra, da parte di lobby auto-trasportistiche (case costruttrici e imprese di trasporto), sia da presunti risparmi del trasposto su gomma sulle brevi distanze, sia da fattori immateriali di ordine psico-culturale. La cultura ferroviaria, in Italia, costituisce ancora oggi un settore di nicchia. Possiamo ad esempio constatare che in Francia, Germania, Svizzera molte sono le riviste di informazione ferroviaria lette da cultori e appassionati mentre, in Italia, hanno una diffusione assai contenuta. Nel Belpaese si usa il treno più per necessità o mancanza di alternative che per scelta. Certamente un peso rilevante hanno avuto le decisioni politiche nazionali. Esse hanno pesantemente condizionato gli stili di vita degli Italiani mediante una scarsa appetibilità degli orari e del materiale rotabile. Va dato atto alle ferrovie italiane che, sul fronte dei sistemi di sicurezza e di segnalamento, vi è stata sempre un’adeguata attenzione. Occorre, però, una coraggiosa inversione di tendenza rispetto al passato. Anche in Italia, infatti, incomincia a manifestarsi tra la gente un interesse nuovo e meno prevenuto verso il trasporto su rotaia. Quando si parla di “cura del ferro” occorrerebbe integrare l’espressione con “cultura della cura del ferro” in quanto la questione del trasporto ferroviario non è soltanto un fatto tecnico ma, come sempre accade nella percezione dei fenomeni sociali, anche un fatto culturale. Forse sono maturi i tempi per compiere, dal punto di vista psicologico e socio-antropologico, quel salto di paradigma che la nostra epoca richiede. Occorre, perciò, ritornare alla progettazione di collegamenti intra-alpini al fine di garantire una migliore qualità ambientale e paesaggistica per le nostre valli. Speriamo soltanto che la pandemia di coronavirus non allontani nuovamente dal trasporto pubblico per paura del contagio e non costringa ad un uso insostenibile dell’automobile.
Annibale Salsa