La montagna ha ancora bisogno di essere raccontata. E più ancora hanno bisogno di essere raccontate le storie di quelle persone che per nascita o per volontà hanno deciso di vivere in montagna, in un tempo in cui questa scelta porta con sé oneri e difficoltà nuovi.
È stata questa la miccia che ha dato il via al progetto “Custodi della montagna”, dentro cui abbiamo provato a utilizzare tutta la tecnologia necessaria, dall’audio al video, dalla parola scritta al linguaggio fotografico, per dare corpo e voce ad una realtà che fatica ad emergere ma che svolge un ruolo storico decisivo per un pezzo del nostro territorio.
Chiamateli presìdi, chiamateli pionieri, chiamateli custodi. Sono un modo nuovo di relazionarsi con il territorio, con le radici ben piantate nella storia e nelle tradizioni ma lo sguardo alzato e consapevole sul presente. Sono la nuova linfa di un territorio aspro e che non fa sconti e per raccontarli, in questa lunga inchiesta multimediale, siamo andati a trovarli nei luoghi in cui vivono.
Perché questa nuova montagna ha bisogno di un racconto con strumenti nuovi, così come attuali sono le visioni di chi è raccontato.
Ad esempio quella di chi rifiuta un turismo troppo di massa a favore di un approccio maggiormente intimo e personale. Chi cerca un valore in più in ciò che sta facendo, dando attenzione i piccoli gesti che fanno la differenza, costruendo un momento di vacanza su di uno scambio, un rapporto biunivoco tra gestore e cliente.
Spesso, nelle interviste che abbiamo realizzato è emersa l’idea di un turismo più approfondito, meno superficiale, che abbia la capacità e il coraggio di coinvolgere chi lo cerca e chi lo offre. Quel turismo dolce che si sta ricavando una nicchia di interesse sempre più grande tra chi frequenta la montagna.
Il tema del racconto di questa montagna che vive nel presente, ruota, in fondo, attorno all’idea di dignità. È un mondo che restituisce a frazioni, vallate, sentieri, musei di montagna la dignità di essere conosciuti, apprezzati e vissuti. E raccontati, magari in modo trasversale, perché le singole storie si intreccino in una trama corale.
Va fatto soprattutto con la convinzione che la montagna dev’essere vissuta: per un giorno o per la vita intera, saltuariamente o in modo più costante. Ma, comunque, vissuta. Non solo come panorama lontano, da cartolina; non tanto come luna park della città in cui andare a sfogare le frustrazioni metropolitane, ma come ecosistema con cui interagire.
E a camminare accanto alla dignità c’è il tema della diversità. Una diversità che si rispecchia e si ritrova in tutti gli attori che abbiamo conosciuto in questa avventura di racconto di una montagna lenta, di una montagna che vuole mantenersi e salvarsi.
Tutti i dodici luoghi, le dodici storie di vita e i dodici mondi che abbiamo raccontato mantengono una propria identità e delle caratteristiche peculiari che rendono autentico e realmente vivo il luogo e il contesto in cui hanno scelto di vivere. E rendono autentici e caratterizzanti i valori che hanno scelto di seguire. Ciascuno lo fa a suo modo, con i propri tratti distintivi, raggruppabili nel grande insieme dei montagnardi delle Alpi del nord ovest, eredi di una storia di vita e di resilienza in tempi anche più difficili di quelli odierni.
Oggi, i custodi di quella eredità culturale cercano di mantenere ciò che c’è di più autentico di quelle montagne, attualizzandolo ai tempi moderni, cercando di educare il turista, il passante, il cittadino alla conoscenza e al rispetto di un mondo molto fragile che per non spezzarsi ha bisogno di cura, conoscenza, rispetto e educazione.
Insomma, una montagna plurale, che parte dal piccolo e dal quotidiano, che parla una lingua che occorre fermarsi ad ascoltare. Tutti ingredienti per iniziare a raccontare.
Daniela Grill, Diego Meggiolaro e Matteo Scali