La serata del 3 luglio, ai piedi delle pareti dell’Agner bagnate dall’ennesimo temporale, è iniziata con la rilettura della proclamazione di Siviglia del 2009, quando l’Unesco proclamò le Dolomiti “Patrimonio dell’Umanità”. Si è subito capito che non si trattava di un testo di prammatica, perché ogni parola rammentava, accanto agli onori, l’onere di gestire con lungimiranza un patrimonio a rischio di speculazione, banalizzazione e miopia strategica nelle politiche del territorio. Non sono infatti le Dolomiti nel loro complesso a meritarsi l’attenzione dell’Unesco, ma quelle zone privilegiate e in un certo senso sopravvissute, arcipelago di tutela e buone pratiche (in gran parte coincidente con i parchi naturali) che hanno saputo mantenere finora l’alta qualità del patrimonio naturalistico e umano che distingue la molteplicità delle rocce, dei pascoli, dei boschi, delle lingue, dei mestieri, delle culture e delle popolazioni distribuite in cinque province: Bolzano, Trento, Belluno, Udine e Pordenone.
Il giornalista Bepi Casagrande si è ben destreggiato nel delineare con l’aiuto dei molti ospiti questo mosaico complesso, prezioso e contradditorio, dove ogni giorno che viene si rischia di sprecare l’opportunità del “logo” in operazioni di mero marketing, vuote di contenuti e progetti. Come ha sottolineato il coraggioso sindaco di Taibon Loretta Ben, e come stanno divulgando con faticoso lavoro sul territorio i geologi della Dolomiti Project, :«Questa inimitabile varietà di paesaggio, riflesso evidente della complessa storia geologica, è il plus valore da promuovere e valorizzare. Anche gli esperti dell’Unesco concordano nel considerare il sistema come il luogo ideale dello sviluppo di strategie di conservazione ed educazione naturalistica, accanto alla promozione di un escursionismo consapevole. Il riconoscimento delle Dolomiti è importante non tanto perché il mondo è finalmente venuto a conoscenza di un ambiente montano di straordinaria bellezza, ma perché la rilevanza dell’evento è legata al principio di responsabilità celato nella dichiarazione dell’Unesco: oltre che un premio, infatti, l’assunzione di un’etichetta di qualità è un impegno che richiede la capacità di saper difendere l’integrità della regione dolomitica, tutelarne ambiente, paesaggio e cultura, sorvegliarne il livello di “valorizzazione”, gestire i flussi turistici e il tipo di infrastrutturazione del territorio».
Il fatto rilevante è che gli abitanti delle Dolomiti, in particolare sul versante Bellunese, si pongano il problema se «diventare un parco-museo alle dipendenze della pianura – continua il sindaco – oppure terreno di sperimentazione per un modello di sviluppo dove la difesa e la valorizzazione dell’ambiente possano tradursi in opportunità economiche e posti di lavoro, e dove la tradizione si coniughi con la modernità».
Il 17 luglio si replica a Pieve di Cadore, presso il Palazzo della Magnifica Comunità. L’Associazione commercianti, il Club alpino italiano del Veneto, la Fondazione G. Angelini Centro studi sulla montagna, il Gruppo promotore parco delle Marmarole, Antelao, Sorapiss (Parco del Cadore) e la Magnifica comunità di Cadore organizzano un altro convegno dal titolo: “Dolomiti patrimonio Unesco. Scelte di qualità per montagne di opportunità”. E il dibattito continua, proficuamente.
Enrico Camanni