«…e tirato dalla mia bramosa voglia, raggiratomi alquanto in fra gli ombrosi scogli
pervenni all’entrata di una gran caverna… e stato alquanto, subito salse in me due cose,
Paura e Desiderio: Paura per la minacciante e scura spelonca. Desiderio per vedere se la entro fosse
alcuna miracolosa cosa».
Le parole di Leonardo da Vinci sottolineano come da sempre le grotte abbiano attratto l’attenzione dell’uomo. Attenzione testimoniata anche da pitture, graffiti, resti di focolari e sepolture al loro interno. Alcune risalenti ad almeno a 37 mila anni fa. Ma bisogna arrivare allo spirito illuministico del ‘700 perché le grotte comincino ad essere analizzate con mentalità scientifica, quando il francese Eduard Alfred Martel conia il termine “speleologia”, dal greco speleaion, grotta o caverna, e logos, scienza: la scienza che studia le grotte.
Questa la storia remota. Ma oggi? Da chi è composto il variegato popolo degli esploratori di abissi?
C’è chi si trincera nel ricchissimo binario scientifico osservando in modo sistematico ogni fenomeno fisico o chimico che partecipa alla costruzione del vuoto, decine di migliaia di anni di indisturbato lavoro dello scorrimento di acque sovrassature e dell’evaporazione che ne ricama il vestito arricchendolo anche con perle e bizzarri gingilli cristallini. Chi fruisce di questo ambiente rarefatto e puro in modo eminentemente estetico. Chi lo usa come luogo per uno sport di qualità eccelsa o per disintossicarsi dalla routine cittadina. E c’è poi chi subisce gli aspetti più ostili quali il freddo, il buio, le difficoltà tecniche per i più svariati motivi: per misurarsi con sé stesso, competere con gli altri, o semplicemente per seguire il compagno di avventure o il gruppo.
Già, il gruppo. Perché è proprio LUI che rende possibile affrontare questa complessa attività, ed è dopo la seconda guerra mondiale che iniziano a fiorire in Italia tantissimi gruppi grotte locali e regionali ed anche associazioni nazionali quali la Società Speleologica Italiana, il Catasto delle Grotte o la Biblioteca Franco Anelli di Bologna, che raccoglie le sterminate pubblicazioni di tutto il territorio nazionale e scambia dati e documenti con le biblioteche e i gruppi speleologici di tutto il mondo, rendendoli accessibili a studiosi, esploratori, appassionati, fino ad arrivare alla Scuola di Speleologia del Cai del 1958.
Il momento d’oro della speleologia italiana, come numero di praticanti e attività esplorativa, è tra gli anni sessanta e il duemila. Poi un lento declino fino ad arrivare ad oggi, momento in cui ciò che non appare non vale. E purtroppo soltanto gli accadimenti di tragici incidenti, che comportano un grandissimo spiegamento di forze del Soccorso alpino e speleologico, riescono ad attirare per giorni i riflettori, le televisioni, i giornali. Poi più nulla.
Eppure dalle caverne, anfratti di pochi metri, ripari sotto roccia, la speleologia ha documentato chilometri e chilometri di meravigliose gallerie sotterranee, che trasformano l’acqua del nostro pianeta in acqua purissima e potabile, custodiscono ambienti di rara bellezza, animali adattati al buio il cui metabolismo è fonte di studio e interesse per le ricerche mediche e biologiche.
Nel nord del Messico, alla Cueva de Los Cristales, Naica, ad esempio, sono stati scoperti recentemente dei cristalli giganti unici al mondo, sviluppatisi ad una temperatura di 60 gradi e sommersi dall’acqua, che contengono micro-organismi di straordinario interesse per la biologia e per lo studio della vita su pianeti diversi dal nostro. L’esplorazione è stata resa possibile grazie a “speleoscienziati” di tutto il mondo: fisici, chimici, biologi, ingegneri e medici.
Eppure la speleologia ha difficoltà ad essere considerata una scienza di serie A, sembra una passione strana, di nicchia, a volte addirittura la sorella cupa dell’alpinismo.
Maurizio Dematteis (su suggestioni di Valentina Bertorelli)