Si chiama “Le montagne del Piemonte”, ed è il primo (speriamo di una lunga serie) di rapporti sullo stato dell’arte della montagna piemontese realizzato da Ires Piemonte, Associazione Dislivelli, Dipartimento Dist del Politecnico e Università di Torino, Collegio Carlo Alberto, Dipartimento CPS dell’Università di  Torino, Prospettive Ricerca Socio Economica Sas e Uncem. Un fotografia che svela tre fasce montane piemontesi ben distinte: i Distretti turistici toccati da centinaia di migliaia di visitatori ogni anno (18% del territorio montano piemontese), la Montagna integrata ben collegata alle città esterne ai distretti urbani ricchi di servizi (49%) e la Montagna interna più periferica e “dimenticata” (43% del territorio). Tre differenti montagne con i loro limiti e le loro opportunità.
Il territorio montano piemontese, racconta il Rapporto dati alla mano, vede un’inversione di tendenza degli abbandoni con piccoli numeri di “risalita a salmone” sulle Alpi e dati ancora di marcato spopolamento dell’Appennino, «che vive quello che l’Alpe ha vissuto 20 anni fa», spiega Fiorenzo Ferlaino, tra i curatori. Un territorio ancora in difficoltà per la mancanza di servizi adeguati quali un trasporto pubblico, le scuole o la sanità, con una burocrazia asfissianti, la mancanza di enti intermedi con cui interloquire e grosse parti a rischio idro geologico, ma anche un territorio che si è risvegliato e chiede a gran voce politiche fiscali dedicate, formazione specifica, trasformazione dei suoi prodotti sul posto e banda larga, solo per citarne alcune. Un territorio che oggi ha delle potenzialità, «anche a livello elettorale», spiega Giuseppe Dematteis, altro curatore del volume: «perché stiamo parlando del 42% della superficie regionale, dove vive il 15% della popolazione».
Secondo i curatori del rapporto ci troviamo di fronte a uno spazio in buona parte “sconosciuto e abbandonato”, che oggi fa emergere alcune qualità positive: la possibilità di alleviare i problemi del cambiamento climatico, a partire dalla temperatura estiva in pianura ormai insopportabile per una parte della popolazione piemontese; una risposta alla crisi ambientale espressa ormai da un movimento planetario; il crescente fenomeno dei “montanari per scelta” disposti a investire i loro progetti di vita in quota. Eppure a questi “movimenti spontanei” dal basso che rendono evidente un cambiamento di prospettive in atto non corrisponde ancora un supporto di politiche pubbliche adeguato. E questo, denunciano i curatori, a causa della scarsità di denaro pubblico destinabile agli investimenti in infrastrutture e servizi necessari.

Ma cosa ne sarà del futuro della Montagna piemontese? Secondo il Rapporto si potranno sviluppare due scenari differenti: il primo in cui, in assenza di un sostegno di politiche pubbliche al citato cambiamento di prospettive, la montagna sarà destinata a diventare sempre più dipendente dagli interessi dei poteri economici esterni, e in specifico quelli cittadini; il secondo in cui, grazie a politiche pubbliche mirate, si riuscirà ad attuare l’agognata svolta culturale verso un cambiamento e uno sviluppo relativamente autonomo ed endogeno della montagna, seguendo semplicemente i punti messi in evidenza e già sperimentati dalla Strategia nazionale delle aree interne.
Maurizio Dematteis

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