Quello tra il 2009 e il 2019 è stato un decennio molto intenso per l’architettura nelle Alpi.
Prima ancora delle trasformazioni sul piano fisico delle architetture costruite, ciò che ha caratterizzato maggiormente questo periodo, soprattutto sul versante italiano dell’arco alpino, è stato però un importante riposizionamento culturale del tema.
Questa mutazione nella percezione dell’architettura alpina si è manifestata innanzitutto attraverso una nuova sensibilità verso la qualità dello spazio costruito e della valorizzazione dei patrimoni e dei territori, ma non solo. Si è infatti fatta largo nei contesti montani una sempre maggiore consapevolezza critica verso la capacità dell’architettura di farsi – anche e soprattutto – promotore e vettore di operazioni ad ampio raggio di valorizzazione sociale ed economica dei luoghi alpini.
Ciò è avvenuto grazie anche ad un intenso lavoro di promozione culturale dell’architettura fatto da istituzioni come ordini professionali, università, associazioni, fondazioni, enti e centri di ricerca che hanno promosso la divulgazione della cultura costruttiva e insediativa dei territori di montagna. Pensiamo a tutti gli ordini professionali che attraverso le fondazioni – come ad esempio la Fondazione Architettura Belluno Dolomiti o la Fondazione Architettura Alto Adige per citarne alcune – o anche attraverso all’associazione Architetti Arco Alpino che raggruppa gli ordini professionali delle province alpine (Cuneo, Torino, Valle d’Aosta, Novara Verbano Cusio Ossola, Vercelli, Sondrio, Belluno, Trento, Bolzano, Udine), o ancora agli istituti universitari come i politecnici di Torino e di Milano e l’università di Venezia, al Circolo Trentino per l’Architettura contemporanea Citrac, alla Fondazione Courmayeur Mont Blanc, al Distretto culturale di Valcamonica, all’associazione Alpes o a Dolomiti Contemporanee, che in questo decennio hanno introdotto nuovi sguardi sull’architettura e sul paesaggio delle Alpi.
Questo lavoro congiunto di ricerca progettuale/scientifica e divulgazione, anche attraverso pubblicazioni e riviste dedicate (come ad esempio Turris Babel o ArchAlp), ha da un lato promosso una cultura progettuale più attenta alle questioni emergenti del territorio alpino e dall’altra ha creato importanti occasioni di confronto sui temi dell’abitare la montagna coinvolgendo anche amministratori, politici, progettisti, funzionari di diverse realtà alpine.
Un aspetto innovativo con cui si è manifestato questo rinnovato interesse per la qualità dell’abitare è stato la promozione di alcuni premi di architettura. Pensiamo a “Constructive Alps” che interessa l’intero comprensorio alpino e che si è svolto in quattro edizioni dal 2010 al 2017. In Italia alcune occasioni di interesse sono state il premio “Architetti Arco Alpino (Aaa)” del 2016, quello triennale “Fare Paesaggio” promosso dalla Step – Scuola per il governo del territorio e del paesaggio e dalla Provincia autonoma di Trento dal 2008, e quello “Costruire il Trentino” del Citrac giunto nel 2018 alla sesta edizione (nel periodo considerato se ne sono svolte due).
Questi premi, insieme ai concorsi di progettazione di natura pubblica o privata, mostrano un importante mutamento di sensibilità verso lo spazio costruito, necessario per sviluppare e dare continuità a progetti virtuosi.
Pensiamo poi ai libri e alle pubblicazioni che hanno contribuito a dare spessore culturale e scientifico ai progetti e alla cultura architettonica alpina in genere. Dalle rassegne di architettura alpina contemporanea (si veda “Architettura alpina contemporanea” di De Rossi, Dini, 2012) agli approfondimenti scientifici sul tema del ripopolamento e delle relative pratiche di spazializzazione (si veda “Nuovi montanari. Abitare le alpi nel XXI secolo” di Corrado, Dematteis, Di Gioia, 2014). O ancora alle monografie che hanno ricostruito le vicende insediative e costruttive di tutto il territorio alpestre (si veda “La costruzione delle Alpi” di De Rossi, 2014 e 2017), di contesti specifici (si veda “Cantieri d’alta quota” di Gibello, 2011 o “Nella modernità. Architetture del Novecento in Valcamonica” di Giorgio Azzoni, 2014) o di singoli progettisti che hanno operato sul territorio alpino (si veda “Architettura, paesaggio, fotografia. Studi sull’archivio di Edoardo Gellner” di Carraro e Domenichini, 2015 o “Carlo Mollino architetto” di Bolzoni, 2019).
Un segnale che sembra essere di buon auspicio per la cultura architettonica degli anni a venire è stato infine il crescente numero di proposte di carattere didattico (curriculari come corsi e tesi, ed extracurriculari come workshop e seminari) sul tema del costruire in ambito montano che si è riscontrato in questi ultimi anni nelle facoltà di architettura italiane.
Sempre più studenti hanno avuto l’occasione di confrontarsi nel proprio percorso di studi con tematiche progettuali inerenti le aree montane e dunque di attrezzarsi con gli strumenti peculiari che l’esercizio professionale e gestionale richiede in questo straordinario contesto fisico e culturale.
Roberto Dini
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