Come si delinea sulle Alpi il cambiamento climatico?
Le regioni alpine sono altamente sensibili ai cambiamenti climatici. L’aumento di temperatura dell’ultimo secolo, stimato dal Cnr-Isac in circa 1,3 °C, è infatti quasi doppio rispetto alla media mondiale di 0,8 °C; gli inverni più tiepidi stanno drasticamente riducendo la frazione nevosa delle precipitazioni soprattutto sotto i 1000-1500 m (nel periodo 1990-2014, -20% ad Aosta e a Cuneo rispetto al 1961-89) e ci sono i primi segnali di maggiore durata dei periodi asciutti, mentre al momento l’intensità delle precipitazioni non sembra in aumento. Tuttavia l’incremento della temperatura rende più probabile la caduta di pioggia a quote superiori a 3000 m con conseguente maggiore contributo ai deflussi di piena a valle, e più marcata mobilizzazione di detriti erosi dai fragili depositi morenici durante gli episodi estivi o d’inizio autunno, quando il suolo è scoperto dalla neve. I ghiacciai stanno riducendosi rapidamente a causa della fusione estiva più anticipata e intensa: si stima che la superficie glacializzata delle intere Alpi verso il 1850 (culmine della Piccola Età Glaciale) ammontasse a 4474 km2, ridottisi a 2272 km2 nel 2000 e a 2050 km2 nel 2003, con una contrazione del 54% in poco più di un secolo e mezzo. Il nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani realizzato dall’Università degli Studi di Milano (2015) mostra che il glacialismo attuale italiano è costituito da 903 apparati che coprono una superficie complessiva di 370 km2, sensibilmente diminuita (-29%) rispetto ai 518 km2 del precedente catasto CGI di inizio Anni 1960.
La situazione del monitoraggio dei cambiamenti climatici e ambientali in corso sull’arco alpino e in altre catene montuose del mondo è stata approfondita con il convegno internazionale «Mountains Under Watch 2013 – Observing climate change effects in the Alps», tenutosi nel febbraio 2013 al Forte di Bard, Valle d’Aosta (atti scaricabili su www.muw2013.it).

Quali saranno gli scenari alpini tra 20 anni?
Le previsioni incluse nel V Rapporto di Valutazione dell’IPCC (2013) indicano per la regione alpina incrementi termici a fine XXI secolo compresi tra circa 1 °C negli scenari più ottimistici (drastica riduzione delle emissioni serra) e 3-4 °C in quelli più pessimistici (nessun taglio alle emissioni), in questo caso con elevato rischio di gravi degradazioni degli ecosistemi naturali. Quanto alle precipitazioni, le Alpi si trovano al margine tra la regione mediterranea che secondo gli scenari futuri potrebbe soffrire di crescenti siccità estive e quella mitteleuropea che invece potrebbe conoscere un aumento delle precipitazioni invernali (fino a +10% anche sulle Alpi, benché sempre più sotto forma di pioggia a bassa quota). In questo contesto, di certo la deglaciazione proseguirà e secondo le simulazioni di Matthias Huss dell’Università di Friburgo verso il 2100 potrebbe rimanere solo il 4-18% della superficie glaciale presente nel 2003, con estinzione pressoché totale sotto i 3500 m. Con meno ghiacciai e fusione nivale più precoce, cambierà il regime di deflusso dei corsi d’acqua, con portate più elevate a fine inverno-inizio primavera, e più scarse in estate, elemento di cui dovranno tenere conto i gestori di impianti idroelettrici e consorzi irrigui.

Che implicazioni avrà questo cambiamento climatico sull’indotto del turismo?
Se da un lato la riduzione della copertura glaciale e dell’innevamento renderanno meno attraenti diverse regioni montuose, con ripercussioni in particolare sul turismo invernale legato allo sci, che si trova peraltro di fronte all’insostenibilità economica e ambientale dell’innevamento programmato, nuove opportunità sono all’orizzonte: conversione dell’offerta verso attività alternative quali l’escursionismo, l’equitazione, il turismo culturale e l’agriturismo, che tenga conto di modi più maturi di vivere il paesaggio e la cultura alpina; maggiore afflusso di persone provenienti dalle città arroventate, alla ricerca di luoghi freschi in cui vivere, lavorare o riposarsi, con possibilità di rivitalizzazione del tessuto sociale alpino.

Cosa si può fare sulle Alpi per attenuarlo? Sei a conoscenza di eventuali buone pratiche alpine sui temi del cambiamento climatico oppure ritieni che solo un intervento globale possa essere incisivo?
Una sfida enorme e globale come quella dei cambiamenti climatici necessita certamente di un approccio internazionale, tuttavia tutti i contributi locali sono importanti per raggiungere l’obiettivo di “decarbonizzare” l’economia e limitare l’aumento di temperatura a meno di 2 °C rispetto all’era preindustriale. Le Alpi possono essere un “terreno” di sperimentazione di buone pratiche, più facili da adottare in piccole comunità in vista di una successiva applicazione in contesti urbani e più estesi: mobilità leggera e telelavoro, autonomia energetica tramite lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, efficienza energetica, bioedilizia e filiera corta/risorse locali. Più che un esempio in particolare, mi preme citare l’insieme di esperienze virtuose maturale nell’ambito dell’ “Alleanza nelle Alpi”, rete di oltre 300 Comuni impegnati per lo sviluppo sostenibile del territorio alpino (http://alpenallianz.org/it). Anche i saperi del passato, coniugati in chiave moderna alla luce delle attuali possibilità tecnologiche, possono rappresentare una guida, come descritto già nel 2007 nella pubblicazione «Saperi alpini, un “cairn” verso un futuro rinnovabile» edita dalla Società Meteorologica Subalpina.
Daniele Cat Berro

Scarica la pubblicazione