«Sono davvero in difficoltà a dire sì o no al Parco». La prima dichiarazione di Daniele Orusa mi lascia sgomento. Ma come, mi dico, pure lui che lavora unicamente nel campo turistico, è guida naturalistica e gestisce la Porta di Valle Segnavia di Brossasco, in Val Varaita, non si dice favorevole? Ma allora c’è davvero qualcosa che non va in questa “operazione parco”. Cerchiamo di capire meglio.
«In realtà potrebbe essere davvero un’ottima opportunità per tutta la valle, e non solo. Ma…». C’è un ma. «L’operazione è stata gestita troppo di fretta. E’ stata calata dall’alto, tanto che quasi nessun sindaco, per tacere dei residenti, prima di qualche settimana fa ne sapeva nulla. Non sono ancora stati coinvolti». Capisco che l’operazione è stata gestita non proprio a dovere, e che il metodo ricorda, seppur alla lontana quello top-down della Tav in Valsusa, ma non è forse ora il momento in cui il territorio dovrebbe dire la sua?
«Sicuramente – concorda Daniele – è proprio adesso che bisognerebbe presentare delle contro richieste per sfruttare al meglio la situazione o mettere dei paletti. Come la richiesta di impiegare personale del posto, che conosca meglio la realtà locale. Potrebbe addirittura essere l’occasione per pensare a un piano di sviluppo per le valli coinvolte, pensando alle scuole, alla rete dei trasporti, e ad altri servizi per turisti e residenti. Eppure così non è stato. Alle riunioni cui ho partecipato, salvo qualcuno, in maggioranza ho visto amministratori distratti o impreparati».
Una critica al metodo con cui è stata portata avanti l’operazione da parte della Regione Piemonte, ma anche una forte critica agli amministratori del territorio, incapaci di “fare squadra” ed essere propositivi.
«Eppure esistono situazioni, anche simili, in cui sono riusciti a sfruttare positivamente opportunità come queste – mi racconta Daniele -. L’anno scorso grazie ad un viaggio studio Interreg siamo andati a visitare il Parco Nazionale del Berchtesgaden, nel sud-est della Germania, al confine con l’Austria. Una realtà di frontiera simile alla nostra. Ebbene, lì hanno lavorato ad un vero piano di sviluppo, con attenzione ai bisogni dei residenti. Ci lavoravano 90 persone, tutte del posto. Certo, era tutto improntato molto al turismo, però la realtà era molto vivibile. Non solo per i turisti».
Maurizio Dematteis