Una vasta letteratura storica, geografica ed ambientale permette di sostenere che i “paesaggi terrazzati” rivestono, come una sorta di rete protettiva, quasi tutto il pianeta, offrendo molteplici occasioni di lettura dei territori e delle loro opportunità di (ri)lancio anche turistico.
Attraversare un paesaggio terrazzato a piedi, seguendo sentieri che consentano di avvicinare i manufatti, le coltivazioni, gli orientamenti sul terreno, significa avere a disposizione un grande libro aperto che opportunamente raccontato è, nei fatti, analisi stratigrafica della storia del territorio, delle comunità che lo hanno abitato nei secoli e che lo hanno trasformato, adottando tecniche, materiali, stratagemmi e soluzioni, un libro che passa dal terreno al documento e viceversa.
È, anche, una sintesi sull’evoluzione (talvolta involuzione, quando i luoghi sono stati abbandonati) socio economica ed istituzionale del territorio stesso.
Il turismo “lento”, che negli ultimi anni si sta affermando, può essere preziosa occasione di formazione permanente se non è vissuto come mera attività fisica, ma come immediata possibilità di apprendimento, grazie all’osservazione e alle informazioni che possono essere acquisite lungo il cammino. Affinché ciò sia possibile è necessaria una consapevolezza di base – da parte delle istituzioni e dei residenti – del valore rappresentato dai manufatti “minori” (a torto considerati, spesso, inutili retaggi del passato) e dalla loro conservazione, del loro studio e della trasmissione delle informazione, mediante percorsi guidati o assistiti dalle soluzioni che la tecnologia mette a disposizione.
Partendo proprio dai paesaggi terrazzati si potrebbe ipotizzare un progetto di viaggi e scambi culturali tra gruppi, che abbracciano l’Italia, il bacino del Mediterraneo, il mondo intero tutto giocato sui confronti tra le diverse aree interessate dal terrazzamento stesso, sempre uguale e sempre diverso, costruendo un palinsesto infinito di opportunità turistiche ed economiche.
Lo studio delle tecniche costruttive sui terrazzamenti può essere messa in relazione con le tecniche di costruzione delle città antiche e medievali (altri percorsi di studio e di viaggio…), confrontata con le tipologie dell’architettura romanica (con tutte le possibilità di confronto tra le varie aree d’Europa).
In realtà ogni territorio abitato nel tempo offre la possibilità di individuare e porre in atto occasioni di scoperta e studio, che andrebbero (ri)valutate.
Penso, ad esempio, alla stagione di fondazione degli eco-musei, nata dal ripensamento collettivo sulla civiltà materiale, sviluppatasi a cavallo degli anni Sessanta del Novecento, che portò a trattenere – talvolta con fatica – i postumi di una civiltà destinata a scomparire, divorata dai nuovi riti del consumo.
Gli Eco-musei hanno avuto vita difficile, ma se diventassero “incubatori” di nuove possibilità per vivere il territorio, occasioni in cui il passato si integra nel presente e nel futuro, potrebbero avere ancora senso e conoscere un rilancio, anche in considerazione degli investimenti già effettuati su di essi.
Chi ha vissuto generazione dopo generazione su un territorio non ha solo prodotto e consumato beni deperibili, ma ha lasciato una eredità consistente che può, oggi, essere oggetto di progetti di conoscenza e sviluppo turistico ed economico.
Penso ai processi di incastellamento e alla loro evoluzione, sino ai complessi fortificati Sette–Ottocenteschi; penso ai ricetti, alle pievi, alle confraternite, ai sistemi di costruzione delle case. Penso ai pittori itineranti e alle famiglie degli stessi diffuse lungo l’arco alpino e appenninico talvolta per più di quattrocento anni; penso alla presenza di minoranze linguistiche e religiose, o ancora al legame tra paesaggio e letteratura e allo sviluppo di parchi letterari, penso all’integrazione tra arte architettura e paesaggio, penso, per finire, al rapporto tra attività turistica e stagioni, inteso come capacità di essere presenti sui territori con proposte che sappiano integrare le variazioni climatiche alla fruizione dei territori stessi.
Bisogna, però, avere il coraggio quasi profetico di ammettere che questo tipo di proposta di conoscenza e di turismo non può soggiacere a ritmi superficiali, predatori, mordi e fuggi. Deve saper intercettare il desiderio di profondità e di senso della vita che ciascuno di noi, prima o poi, affronta anche solo per un istante.
Innanzi alle domande esistenziali la lunga durata di alcuni fenomeni storici, culturali e ambientali è già una risposta. È una risposta la scelta di camminare in un contesto denso di riferimenti e di elementi utili al pensare. È una risposta saper guardare con occhi curiosi muretti o brandelli di affresco, ripercorrere vite lontane, riconoscere gesti e oggetti che oggi sono misteriosi.
Camminare è facilissimo, diventa un’arte se lo si arricchisce di domande che cercano risposte interrogando la terra e quanto ci sta sopra, uomini donne, case e cose.
Flavia Cellerino, titolare della Celeber srl e ideatrice e fondatrice di Artesulcammino