I primi risultati del censimento dell’agricoltura 2010 mostrano una montagna piemontese molto meno marginale di quanto si possa pensare, proprio grazie a un settore agricolo nel quale, nonostante la debolezza strutturale che conosciamo, sono sempre più diffusi gli esempi di pratiche innovative, spesso portate avanti da giovani, anche se ancora limitate a realtà specifiche e alla piccola scala.
Il dato più sorprendente che emerge dalle indiscrezioni sull’ultimo censimento è quello dell’età media dei conduttori delle aziende: nella maggior parte dei comuni della montagna piemontese, i titolari delle aziende agricole con più di 60 anni sono meno del 20% del totale, a differenza di quanto avviene in pianura e in collina. Questo nonostante l’età media negli stessi comuni montani sia quasi sempre superiore a quella del resto della regione.
Si tratta di dati che gettano uno spiraglio di luce nella coltre del pessimismo, spesso giustificato,  che caratterizza la maggior parte dei discorsi sulla montagna nel Nordovest, in tempi di disinteresse politico e ristrettezze economiche. Nonostante la debolezza ancora diffusa e il futuro incerto di questo settore, infatti, la giovane età media degli agricoltori di montagna lascia spazio a progetti innovativi, fondati sulla qualità, il rispetto dell’ambiente e la multifunzionalità, indispensabili per reggere la competizione con l’agroindustria estensiva della pianura ricoperta da veri e propri deserti di cereali.
Affinché la qualità dei prodotti e gli effetti positivi di un’agricoltura sostenibile per l’ambiente vengano riconosciuti anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori e valutati come meritano, però è importante che questi vengano visti e sperimentati in prima persona dai locali e dai turisti. Per questo è fondamentale che il rapporto tra attività agricole e turismo in montagna diventi sempre più stretto, come auspicato anche dalla Convenzione delle Alpi, che vede nella collaborazione tra turismo, agricoltura, economia forestale e artigianato una chiave per creare posti di lavoro che assicurino un futuro sostenibile alla montagna.

I luoghi dove più spesso i turisti entrano in contatto con la vita agricola sono, come noto, gli agriturismi, dove gli ospiti possono avvicinarsi alla vita rurale godendone soprattutto gli aspetti positivi: splendidi paesaggi, cibo genuino e di qualità, affascinanti tradizioni legate alla trasformazione dei prodotti, la lavorazione della terra e il rapporto con la natura e gli animali. A differenza del resto del Piemonte, però, in montagna l’agricoltura è quasi sempre legata all’allevamento, bovino, ovino o caprino a seconda delle zone e delle inclinazioni degli allevatori. In questo contesto, una delle modalità più interessanti e tipicamente montane di apertura delle attività rurali alla fruizione turistica è quella del cosiddetto turismo d’alpeggio, che permette a escursionisti e gitanti di conoscere da vicino la dura vita del pascolo estivo in alta quota.
La zona del Piemonte in cui è più diffusa questa pratica è l’Ossola, dove, grazie a un progetto transfrontaliero con la Svizzera, è stato creato un interessante museo dell’alpeggio (all’Alpe Devero) e sono state gettate le basi per la diffusione di alpeggi didattici e “agrialpeggi”, agriturismi nei quali, oltre a mangiare i formaggi prodotti in alta quota, è spesso possibile assistere al pascolo, alla mungitura e alla preparazione dei formaggi. Nell’ambito dello stesso progetto sono stati realizzati una banca dati degli oltre mille alpeggi attivi di tutto il Piemonte e una rete di sentieri pensata per fare scoprire agli escursionisti il ruolo che hanno per l’economia di montagna quei prati che spesso attraversano senza notarli, diretti alle vette. Di particolare valore simbolico è l’itinerario transfrontaliero  “Alpeggio senza confini”, che, attraverso il Passo di San Giacomo, mette in comunicazione l’Alpe Veglia con il Caseificio del Gottardo di Airolo (nel Canton Ticino), passando per l’Alpe Devero e il Museo dell’Alpeggio.
Meno formali – e forse per questo più interessanti, anche se più difficili da scovare – sono i molti altri esempi spontanei di apertura degli allevatori al turismo che stanno nascendo nelle valli del Piemonte e nel resto dell’arco alpino: dall’”adozione” di capre, che finanzia il lavoro dei pastori nelle stagioni morte in cambio di carne o formaggi in quelle più produttive (come fanno ad esempio Marta e Luca, in Valle Stura), alla possibilità di trascorrere alcuni giorni al pascolo insieme agli allevatori (in alta Valle di Susa e in Lombardia).
In questi tempi (fortunatamente) di declino del turismo invadente e superficiale fondato sul cerchio autostrada-parcheggio-funivia-sci-autostrada, queste piccole proposte di un rapporto nuovo tra la montagna, i montanari e i turisti, possono rappresentare le basi per il futuro dell’economia e le società delle valli, ancora sospese tra la dipendenza nei confronti delle città e l’affermazione di un modello di vita più alternativo, consapevole e sostenibile.
Giacomo Pettenati