Tre Montagne di Matteo Meschiari, edito da Fusta Editore (2015)

L’intera storia dell’essere umano, racchiusa nelle diverse culture che si sono succedute nel corso dei millenni, è fatta di un susseguirsi di tentativi di emancipazione dalla natura.
La stessa coppia natura/cultura è spesso utilizzata per declinare i numerosi interventi che l’uomo, in quanto essere sociale, compie assieme ad altri uomini sul proprio corpo, sui manufatti, sugli elementi stessi della natura per dimostrare lo scarto differenziale tra esso e il resto (del mondo sensibile e non solo).
Ma vi sono paesaggi che più di altri lo mettono di fronte alla sua vera esistenza: l’essere parte integrante di un universo e da questo dipenderne.
Le montagne, contesto dell’extra-ordinario, così selvagge e così “poco” umanizzate – seppur anch’esse sottoposte a un processo di addomesticamento mentale, già solo per poter essere pensate in questa loro selvatichezza – sono uno dei paesaggi che più rinviano l’umanità alla sua “nuda” e “cruda” realtà.
Per tale ragione, Matteo Meschiari, autore di “Tre Montagne” edito da Fusta editore, prende a pretesto tre contesti montani di più o meno alta valle e tre personaggi per soffermarsi mediante questi sulla labilità dell’essere umano ma anche sul suo forte riflettere, sin dagli albori della specie, del suo essere al mondo, una riflessione di heideggeriana memoria che affonda le radici nella ricerca di senso allo stare al mondo. Meschiari riesce a far risuonare l’interrogativo “chi siamo?” nella narrazione di tre storie singolari, a tratti intime ma anche familiari, che dimostrano sostanzialmente la solitudine dell’io di fronte a se stesso e alla moltitudine.
Per ogni montagna, quindi, un protagonista e una storia, passando dalla sceneggiatura di un film a un diario autobiografico, transitando per una pièce treatrale: registri narrativi intuiti dalle performance della scrittura, molto diversa per ognuno dei tre “atti”.
Il primo racconto, “Svernamento”, ci offre un vecchio dall’identità negata, poiché il nome resta sconosciuto, che fa della scalata di una ripida e ghiacciata montagna il momento di confronto con il suo passato e il suo presente, andando incontro a un destino non così sconosciuto.
Questo si riallaccia all’ultimo racconto, “Pace nella Valle”, anch’esso ambientato in un paesaggio vago, di cui si sa solo che è abitato da cervi e altri animali e si identifica per contrapposizione all’Africa, la culla dell’umanità. Protagonisti un padre e un figlio, a loro volta figli e padri, che invertono il ruolo del prendersi cura l’un l’altro.
In mezzo, un paesaggio dai contorni definiti: l’Appennino, con tanto di nomi di paesi e di luoghi. L’ambientazione frammezza due racconti contrapponendosi per la specificità dell’epoca storica, ossia l’Italia occupata dal nazifascismo e protagonista della propria sorte mediante la guerra di liberazione. Così come vi sono paesaggi che più di altri mettono di fronte l’uomo al suo essere nel mondo, così vi sono periodi storici che più di altri domandano ai protagonisti, o ai suoi passivi spettatori, di dare una risposta al perché della morte. Morte presente in tutti e tre i racconti e, forse, risposta ultima alle tante domande. I personaggi del racconto di mezzo, “Primo Appennino”, per tale ragione rinviano a loro volta a un periodo e a un’epoca indefinita: quella del mito, poiché del mito l’umanità è figlia. Così come una cultura crea sincronicamente i suoi membri mediante pratiche antropopoetiche, così perpetua diacronicamente se stessa mediante la mitopoiesi.
E questo legame sottile percorre l’intera narrazione, fatta di anarchia linguistica e letteraria che scompone la fluidità della lettura ricongiungendone i pezzi su un piano allegorico, di rinvio semantico con categorie del mito e del rito che riportano il lettore all’epoca attuale, lo collocano davanti a una forte critica ecologica e sistemica e alla necessità, se non vissuta almeno trasposta in narrativa, di interrogarsi ancora sugli interrogativi iniziali, gli stessi che percorrono e percorreranno la storia e le sorti dell’umanità.
Maria Anna Bertolino