La chiusura di Alp e della Rivista della Montagna, recentemente riunite in un solo periodico, è una notizia molto grave per Torino e il suo rapporto con le Alpi, che invece di rafforzarsi in occasione dell’appuntamento olimpico è andato via via smagrendosi e impoverendosi, fino a perdere tutta la sua preziosa tradizione editoriale, nonché la lunga esperienza delle Comunità montane, le lungimiranti politiche dei parchi, eccetera. Torino non è mai stata così isolata dalle sue Alpi ed è più che mai urgente che, con l’aiuto della Compagnia di San Paolo, si riparta per fondare, o meglio rifondare, un legame culturale con le montagne, da cui possono discendere azioni sociali e politiche per il territorio.
In qualità di testimone e protagonista delle avventure giornalistiche torinesi, voglio almeno ricordare la genesi e un po’ di storia della Rivista e di Alp, che risposero non solo a un’esigenza del mercato, ma soprattutto fecero seguito a un fertilissimo lavoro di discussione e progettazione intellettuale, segno di tempi assai più fertili di quelli attuali. In corrispondenza del Sessantotto vivaci fermenti culturali scossero il mondo dell’alpinismo torinese, sempre ricettivo nei confronti dell’innovazione, e maturarono le premesse per una rivista “laica” che prendesse educatamente le distanze dagli organi istituzionali del CAI e si avviasse verso il professionismo.
La Rivista della montagna nasce nel 1970 grazie all’iniziativa di un pugno di amici appassionati, squattrinati e con idee molto chiare sull’informazione:
«Un gruppo di giovani alpinisti piemontesi – si legge sul primo numero – ha recentemente costituito a Torino un Centro di Documentazione Alpina, per la raccolta e lo studio del materiale utile alla conoscenza di ogni aspetto della montagna. Tra le altre iniziative essi hanno pensato a una rivista, su cui pubblicare i risultati più interessanti delle proprie ricerche, dedicata in modo particolare agli alpinisti che intendono la pratica della montagna come una forma di arricchimento culturale, oltre che un fatto sportivo o una piacevole forma di evasione contemplativa».
Accanto all’editoriale non appare un “duro” arrampicatore armato di martello e chiodi, ma tre portatrici di fieno sullo sfondo delle Levanne. Il direttore è Piero Dematteis e la Rivista annovera firme prestigiose come Paolo Gobetti, Marziano Di Maio, Gian Piero Motti; successivamente entrano Alberto Rosso e Giorgio Daidola. La redazione è soprattutto un vivacissimo laboratorio di idee, che, in un tempo in cui le Alpi non sono ancora “terra” completamente divulgata, partoriscono selezionati articoli sulla cultura e l’economia alpina ed esemplari monografie escursionistiche, alpinistiche e sci-alpinistiche. Un giusto insieme di spirito critico, approfondimento scientifico e intento divulgativo, reso chiaro e piacevole dalla perizia grafica di Luciano Muzzarini.
Alla fine degli anni Settanta il quadro è già completamente cambiato. È l’alba dell’alpinismo sportivo, e le riviste devono tenere il passo degli alpinisti. In Italia il 1980 segna l’avvento di Airone, il mensile patinato di divulgazione naturalistica che farà scuola a tutto il settore. In Francia i periodici Alpinisme et Randonnée e Montagnes Magazine rivoluzionano la grafica e il modo di raccontare la montagna. Lo stesso alpinismo stenta a riconoscersi: irrompono gli exploit e le immagini dell’arrampicata sportiva, i futuristici concatenamenti di cime e pareti alpine, le galoppate sugli ottomila himalayani. E così, mentre già si mormora di gare di arrampicata, la Rivista della Montagna diretta da Roberto Mantovani subisce la concorrenza di un nuovo giornale, colorato e aggressivo come i nuovi tempi: “Alp, vita e avventura in montagna”.
Il mensile Alp, che fondo con Furio Chiaretta nel 1985 con l’appoggio di Giorgio Vivalda e della sua giovane casa editrice, nasce sull’onda dell’arrampicata sportiva e delle denunce ambientaliste. L’ambizione e l’innovazione del giornale consistono nel raccontare i fatti della montagna con gli strumenti giornalistici ed estetici delle altre riviste, senza rifluire nelle logiche sempre più asfittiche della comunità alpinistica. Alp parla di alpinismo con le parole e le immagini del giornale sportivo, un fatto nuovo nel mondo della montagna italiana, e affronta senza condizionamenti i grandi problemi del territorio e dell’ambiente alpino, lo sfruttamento turistico, il degrado, la salvaguardia, le politiche dei parchi. Nel tempo la rivista si trasforma più volte sotto la guida di Marco Ferrari e Linda Cottino, poi il Centro di Documentazione Alpina e l’editore Vivalda confluiscono in un’unica casa editrice, unendo forze e criticità, finché un redattore storico – Walter Giuliano – riprende in mano il prodotto per cercare il rilancio. Il resto è cronaca di oggi, come scrive il segretario di redazione Marcos Devalle in una mesta mail indirizzata ai collaboratori:
«La testata Alp sta per uscire con l’ultimo numero (il 288) della sua storia, durata quasi 28 anni. All’inizio del mese in corso, infatti, la Vivalda Editori, proprietaria del mensile, ha avuto conferma dagli enti preposti della messa in Cassa Integrazione Straordinaria per 24 mesi dei suoi dipendenti, periodo che prelude alla cessazione dell’attività…
Salutiamo cordialmente, sperando di poter dare continuità, seppure in contesti diversi, all’esperienza fin qui maturata».
Enrico Camanni
Sono indubbiamente molto dispiaciuto, questa pessima notizia va in parallelo con le condizioni delle nostre montagne, io scrivo dalle Valli di Lanzo, sono un lettore di Alp, non sono uno sterile “mugugnante” ma penso di essere un abitante di montagna attivo nel mio piccolo.
Quando dico delle condizioni delle nostre montagne mi riferisco, tanto per citare uno solo dei numerosi punti negativi, alla nostra viabilità che è il biglietto da visita della totale mancanza di rispetto verso le popolazioni delle terre alte !!
Posseggo i primi 200 numeri de LaRivista della Montagna e i primi 50 di Alp. Il giornale di oggi non è nemmeno la pallida ombra di quello che erano i due succitati periodici. Giusto che chiuda, se i lettori non sono più disposti a pagare l’altissimo prezzo di copertina per avere così poco in cambio.Sinceramente se si pensa di resuscitare (con l’aiuto della CSP poi!!!) una rivista che nemmeno nella sala di aspetto delle pro-loco troverebbe lettori, beh…auguri!
In un periodo oscuro (intellettualmente)come questo putroppo questa notizia (grave e ferale) passerà pressochè inosservata.
Altre sono le notizie che i media prendono in considerazione.
Questo la dice lunga sulla crisi “globale” che investe l’Italia.
A’ da passà nuttata…….
Ancora una volta noi Torinesi riusciamo a non smentirci…Tutto ciò che scopriamo ed ha successo e originale, lo facciamo morire…. Se penso che Torino è capitale delle Alpi, e non solo, nasce anche il Club Alpino Italiano. Due Riviste storiche e culturali che se ne vanno…
Caro Enrico,
leggo su Dislivelli il tuo articolo “Torino perde le Alpi”, riferito alla chiusura delle riviste dell’editore Vivalda e sento la necessità di reagire.
C’è un errore nel titolo, che va inteso “Torino perde Alp”, o il tuo pensiero è proprio quello?
Non mi pare che la chiusura, inevitabile, di una rivista che ha perso qualità e mercato vada interpretata come un segnale importante
del declino dell’interesse per le montagne e delle relazioni tra Torino e le Alpi.
In questa crisi generale, economica, culturale, etica e di idee, chi ha un ruolo intellettuale e mediatico non può, secondo me, lasciarsi andare al rimpianto del bel tempo che fu.
C’è il grave rischio di scambiare cause con effetti, di piangersi addosso, di non cercare le vere ragioni della crisi e, in definitiva, di non sapere che fare.
Le belle riviste che tu e altri valenti giornalisti e studiosi avete creato trent’anni fa sono state superate da nuove tecniche e modi di comunicare.
Un commentatore del tuo articolo scrive, su Dislivelli: ” Posseggo i primi 200 numeri de La Rivista della Montagna e i primi 50 di Alp.
Il giornale di oggi non è nemmeno la pallida ombra di quello che erano i due succitati periodici. Giusto che chiuda, …” Un po’ brusco, ma è difficile dissentire.
Come sai ho passato un paio d’anni accanto a Vivalda, cercando di stimolare l’aggiornamento delle strategie editoriali e l’adozione di nuovi canali di diffusione;
abbiamo persino creato una società dal nome “Vivalda Multimedia”, ma, nella totale assenza di un serio impegno imprenditoriale, non è stato possibile costruire alcunché.
Sono strato costretto a proseguire su altre strade, avviando l’attività della WebTv ALP channel, più che mai difficile per l’assenza di una solida base economica.
L’aiuto generoso di alcuni giornalisti, anche tra quelli usciti dall’esperienza delle riviste citate, e di numerosi altri collaboratori non è stato sinora sufficiente
a garantire la continuità della nuova impresa.
Forse un articolo dal titolo “Torino ha perso gli imprenditori” darebbe fastidio a qualcuno, ma sarebbe piuttosto utile.
Torino, come sempre nella sua storia, produce idee e innovazioni, ma poi non le sa valorizzare e le costringe a emigrare.
Qui ci sono ancora molte risorse economiche, ma nessuno le vuole investire su nuovi progetti che comportino qualche rischio;
come si può essere imprenditori senza rischiare, innovare, valorizzare le risorse e le competenze: in una parola, senza intraprendere?
Tornando alle montagne, l’argomento che ci sta veramente a cuore, concedimi una piccola provocazione: e se fossero le Alpi ad aver perso Torino, e non viceversa?
Non ti pare che le novità, e le speranze, vengano oggi di più dalle Terre Alte, che dalla metropoli?
Lo spostamento (finalmente!) dell’attenzione sulla qualità della vita piuttosto che sul PIL, la coscienza della necessità di difendere il territorio, il valore della comunità
e della cooperazione, la scelta dei buoni prodotti della terra, lo sport e la salute in mezzo alla natura, le energie rinnovabili … da dove viene tutto questo?
Alcuni enti, associazioni e accorpamenti di piccole imprese hanno ben compreso che la strada da seguire è quella che porta a saldare la modernità delle nuove tecnologie
con la solidità delle buone tradizioni, immaginando un futuro parsimonioso, più saggio, ma non infelice.
Uscire da confini locali, pretendere di essere finalmente cittadini d’Europa, considerare davvero le Alpi un territorio che unisce, pur valorizzando le specificità, …
queste sono le prospettive sulle quali lavorare tutti insieme.
A me pare che, tra le tante brave persone che esprimono idee positive e che si impegnano per il superamento di questa gravissima crisi generale, sia tuttora carente la capacità di collaborare.
Qui si sommano i difetti tipici di noi piemontesi con una radicata tendenza dell’area intellettuale: tutti d’accordo, all’apparenza, ma nei fatti ognuno per sé, a disperdersi in mille rivoli.
Rilancio, ancora una volta, la mia proposta di sempre: troviamoci, uniamo le forze, scoviamo le risorse per dare una voce potente alle montagne e alla nostra idea di futuro.
Mi sto muovendo da tempo tra fondi europei per la cooperazione e altre possibilità di finanziamento pubblico; la prospettive sono buone, ma ci vuole molto lavoro.
Accanto al sostegno pubblico occorre però l’impegno dei privati, disposti a investire per qualcosa di serio.
Tra le varie ipotesi, perché non seguire anche quella di una sorta di azionariato diffuso, attraverso il quale tanti abitanti delle montagne o appassionati siano direttamente partecipi,
con piccole quote individuali, di una grande impresa per la valorizzazione delle nostre Alpi?
Chi ama le montagne conosce bene la soddisfazione della scalata; forse è ora di scalare la sfiducia.
Un abbraccio,
Franco Guaschino / Alp channel
Con preghiera di pubblicazione su Dislivelli e su Torino e le Alpi
Caro Franco,
il titolo non l’ho fatto io ed è evidentemente provocatorio, anche se giusto: perché Torino – come scrivo – ha perso troppe cose: le riviste, il Salone, l’attenzione per i Parchi, le politiche delle Comunità montane, ecc. In me non c’è nostalgia, semmai rabbia, perché se le riviste si fossero trasformate sarei contentissimo, invece si è perso il patrimonio editoriale tout court, mancano le idee e, come dici giustamente, mancano gli imprenditori. Naturalmente il discorso vale anche al contrario (le Alpi perdono Torino), ma secondo me è impossibile che le montagne si salvino senza la città, e viceversa. Oggi solo un sistema integrato può avere un futuro, e in questo senso stiamo lavorando quasi gratis, noi, tu e pochi altri. Di sicuro si rivelerà la scelta giusta.
Grazie per le tue osservazioni e a presto
enrico
Caro Franco e cari tutti, qui la questione è di quelle toste, ma non
riguarda solo Alpi e Torino o sfighe legate a qualcuno.
E’ l’intero contado che sta perdendo Torino, una frattura sempre più
evidente separa città e contado, di cui le Alte Terre sono parte.
In questo momento ti assicuro che vedo la città, Torino, come tassello
fragile in un contesto in crisi strutturale.
Qui non sono le Alpi che perdono Torino o viceversa, è Torino che rischia di
perdersi da sola, quale è il percorso che ha davanti?
Non è questione che riguardi solo il Piemonte, è l’intera Europa che dovrà
fare i conti con questo problema.
Città e contado, si sta riproponendo una questione che pareva appartenere ai
secoli bui (che per il monte bui non lo sono stati affatto!!!).
Definirsi cittadino e montanaro (o contadino) sta diventando un ossimoro?
E’ tempo e ora che si affronti questa questione tralasciando romanticismi,
poesia, interessi di parte, soliti noti e giochetti noti, per individuare un
percorso che porti a unire intelligenze, progetti e risorse per pensare a un
avvenire possibile.
Ne sto discutendo anche con amici in Catalogna e sui Pirenei, i Pirenei
hanno molte cose in comune con le Alpi, cominciando da un recente confine
piazzato sullo spartiacque.
Il Piemonte potrebbe essere un luogo ideale per affrontare una questione che
va ben oltre confini regionali? Credo di si!
Statemi allegri , un saluto dal fresco dell’alta val Maira.
Mariano
Ho letto l’articolo di Enrico e i commenti che ne sono seguiti. Ho letto anche, purtroppo, la pagina uscita sabato 5 aprile su La Stampa a firma Guido Novaria. Possibile, mi chiedo, che un giornale nazionale non riesca a confezionare qualcosa di meglio che “copiare” pressoché parola per parola un pezzo già pubblicato, scritto (e firmato) da un altro? Senza prendersi la briga di alzare il telefono e sentire qualcuna delle persone citate? E non parliamo delle immagini: copertine vecchie di decenni! Sono esterrefatta. Dettagli, ma forse emblematici del rapporto perduto tra la città e le sue montagne.
Riguardo alla vicenda Vivalda, anche sforzandomi non ce la faccio a essere neutra. Sono d’accordo con Franco Guaschino sulla mancanza di imprenditorialità. Senza di essa non sarebbe a suo tempo nata Alp; in mancanza di essa Alp e la Rivista della Montagna sono state affossate. È vero che il periodo è dei più bui, ma con una buona visione imprenditoriale ben prima della grande crisi del 2008 si sarebbero potute fare scelte oculate. Soprattutto con quel grande tesoro tra le mani. Oggi individuare un format adeguato non è facile. Negli anni 70 la Rivista nacque come espressione di un crogiolo di idee; Alp fu il suo naturale sviluppo, sia dal punto di vista giornalistico che di mercato editoriale. Il panorama cartaceo odierno, oltre alla storica rivista del Cai, ne offre una monografica e un paio di altre dal taglio spiccatamente personalistico. Oltre a questo, il vuoto. Forse, come dice Mariano, in un contesto di crisi strutturale Torino è un tassello fragile, e cade. Voglio essere ottimista e leggere questa caduta come un’ulteriore conferma della vocazione tutta torinese a precorrere i tempi: da una dissoluzione di modelli ormai inadeguati può nascere qualcosa di nuovo.
Linda
E se la vera relazione in gioco fosse quella tra le Alpi e l’Italia?
Un possibile argomento da discutere nel Forum come lo intitolereste?
La proposta di Pro3LoCoWT:
Il problema [a monte] dei problemi delle valli alpine
https://www.dislivelli.eu/forum/viewtopic.php?f=6&t=26&start=0
Scrivo su questo blog in ritardo di 6 anni ma su tema attualissimo.
Non c’entra la crisi , la deindustrializzazione e tutto il resto.Il rapporto Terre Alte e grande città sta riappropriandosi la sua storica dicotomia in seguito alla incapacità di proporre una aggiornata e attrattiva visione della Montagna , da parte di tutti noi.
In questa epoca frenetica nella quale si creano e sotterrano nel limbo i propri eroi , alpinisti e mediatici , in pochi decenni e cambiano con rapidità impressionante i favori delle masse turistiche , serve fermezza nel continuare a proporre idee che traggono vitalità dalle più belle caratteristiche proprie dell’ambiente montano