Maggio 2015, Alta Valle di Susa: Guardia di Finanza e Forestale di Bardonecchia denunciano una truffa ai danni dell’Unione Europea di oltre 2 milioni di euro realizzata da sette aziende agricole residenti tra pinerolese, astigiano e alessandrino, nell’attività d’alpeggio tra il 2007 e il 2013.
Giugno 2015, Valli del cuneese: il Corpo forestale della Regione Piemonte arresta i titolari della Cooperativa Agricola Il Falco, con sede a Marene (Cn), e indaga a piede libero altri 30 agricoltori, titolari di aziende della provincia di Cuneo e di tutto il Nord Italia, per una truffa nel corso dell’attività di alpeggio ai danni dell’Unione europea di 2 milioni e 200 mila euro nel corso del solo 2013. Sono gli ultimi episodi in ordine di tempo delle cosiddette “truffe degli alpeggi”, un fenomeno tristemente noto che, come sottolinea l’Uncem Piemonte in una nota, provoca un “enorme danno per tutto il sistema agricolo piemontese, nonché per l’intero comparto economico delle Terre Alte e per centinaia di imprenditori onesti”.

Ma come funziona la truffa? Il meccanismo non è dei più semplici, ma proviamo a spiegarlo: il settore agricolo, compreso quello dell’allevamento, da diversi decenni è oggetto di attenzione della Politica agricola comunitaria (Pac), che agisce con dei premi in denaro per sostenere il “settore primario” e tutelarlo dagli effetti “perversi” della globalizzazione. Inizialmente i sostegni venivano distribuiti secondo la logica di pagamento “tanto produci, tanto ricevi”; nel caso degli allevatori i premi si ricevevano in base al numero di vitelli nati o ai litri di latte munti. Ma nel 2005 la riforma della Pac, e qui sta la parte complicata, sancisce il passaggio al “premio unico disaccoppiato”, che si calcola facendo una media ponderata dei pagamenti degli anni precedenti, i cosiddetti “titoli” storicizzati, da moltiplicare per gli ettari monticati. In pratica la somma dei pagamenti ricevuti è stata “spalmata” sugli ettari di terreno in possesso, o in affitto, dell’allevatore formando i nuovi “titoli” della sua azienda. Ecco allora che nasce la speculazione: le aziende truffaldine, soprattutto quelle con titoli alti, che mirano unicamente al profitto, partono alla caccia di superfici da pascolare gettandosi nelle gare d’affitto dei terreni con la possibilità di giocare al rialzo. E grazie al meccanismo di autocertificazione, si spingono addirittura ad aggiungere al conteggio degli ettari terreni non adatti al pascolo perché rocciosi o scoscesi. Gli allevatori onesti, nonostante le proteste, vengono tagliati fuori dai giochi a causa dei canoni di affitto annuali che, ci hanno raccontato alcuni di loro nel corso di quest’estate, “da circa 20-30 € sono saliti fino a 200-300 €/ettaro. Quest’anno in una gara in alta valle si è presentato un personaggio sconosciuto proveniente dalla Provincia di Bolzano e si è aggiudicato un alpeggio. E nonostante si sia preso l’alpeggio quest’estate qui non lo abbiamo più visto. Né lui né le sue mucche. E non è la prima volta che questo accade”. I nostri interlocutori denunciano cifre insostenibili per le loro piccole e medie realtà che vivono di solo allevamento, spesso con titoli di basso valore. Alcuni sono stati costretti a lasciare gli alpeggi in cui lavoravano da generazioni per cercare altrove.

E allora che fare per tutelare un settore strategico per la montagna oggi in forte crisi? Secondo l’Adialpi (l’Associazione difesa alpeggi Piemonte – www.adialpi.it) l’unica strada possibile oggi è quella di disincentivare la speculazione sugli alpeggi introducendo delle soglie massime di contributo per ettaro; in modo che i pascoli diventino meno redditizi e diano vita a una concorrenza leale tra margari “veri” nelle gare d’asta degli alpeggi. Allo stesso tempo i Comuni di montagna, sempre secondo l’Adialpi, dovrebbero inserire nei regolamenti per l’assegnazione dei pascoli norme che diano precedenza ai residenti e a chi è proprietario e detentore degli animali in alpeggio, in modo da penalizzare le società nate solo per raggirare i regolamenti.
Maurizio Dematteis