Ricordo l’intollerante rapporto di mio nonno con le erbacce di montagna capaci di invadere il pascolo a ogni sua distrazione. Ricordo il suo sguardo-radar pronto a identificarle per poi accumularle insieme alle pietre indesiderate, ai cardi velenosi per le vacche, ai rami portati dal vento. Penso anche alla mulattiera che percorrevo da bambino con la nonna per raggiungere una cascina d’alta quota. Ricordo gli interventi per sistemare il tracciato appena qualche istante dopo certe piogge esagerate, o il gesto rapido, meccanico e gratuito che sembrava liberare da ogni oggetto estraneo sopratutto il campo visivo piuttosto che il nostro passaggio: quasi una dolce ossessione quella della pulizia del sentiero.
Oggi c’è chi elogia la wilderness in montagna come fosse la vera vocazione delle terre alte. Come se chi combatte quotidianamente con ninfee e intemperie non si possa definire un “vero” abitanti delle montagne. Ma se la montagna è solo quella “selvaggia”, cosa ne sarà delle baite o dei masi, delle lunghe e antiche mulattiere, dei ponticelli, dei muri a secco incastrati alle pareti, delle torrette o persino delle trincee, ovvero di tutto ciò a cui ci ricollegano i sentieri e il sovrapporsi dei passi dell’uomo? I sentieri non appartengono forse alla montagna “vera”? C’è quindi una montagna di serie A e una montagna di serie B? Forse, mi consolo, ce n’è una di chi la vive agonisticamente e una di chi la ‘abita’, e non necessariamente nel senso di soggiornarvi.
Decido quindi di dedicarmi all’argomento e alle immagini che riguardano il sentiero e i suoi ruoli molteplici, uno su tutti – anche se non sufficiente nel definirlo – l’essere uno degli strumenti più importanti a disposizione dell’uomo d’alta quota per fronteggiare ciò che è “selvaggio”. Che cos’è infatti il sentiero di montagna se non il tentativo per eccellenza di addomesticare il territorio, di abitarlo, di farsi un’idea per un passaggio e poi di fissarla sul territorio? Esso corrisponde a multipli passaggi e passaggi di moltitudini. Significa “comunicazione” e “provviste”. Se non ci fossero stati i sentieri nelle loro più varie combinazioni, bretelle ed estensioni (così come i concetti annessi di manutenzione e pulizia), i nostri antenati alpini si sarebbero dovuti fermare al Tigri e all’Eufrate. Oppure, senza slanci iperbolici, tutto si sarebbe fermato alle porte delle valli alpine. Certo, per la storia dell’umanità c’è sempre una fase esplorativa che comincia là dove il sentiero manca, lasciando dietro tracce su terre vergini. Ma, dopotutto, è difficile non pensare alle montagne, a raggiungerle e poi abitarle, ignorando il ruolo dei sentieri, le mulattiere o le “carere” (come si dice in alcuni angoli del Piemonte). Tutto questo è stato possibile usandoli, e grazie al paziente monitoraggio e al loro ampliamento, a un lavoro “troppo duro per crederci” oggi. E queste opere dell’ingegno e dell’ingegneria alpina raccontano oltretutto di tante storie, di esigenze, di uomini e famiglie che meriterebbero un’attenzione e un turismo tutto dedicato a loro.
Nei secoli le sue funzioni sono certamente cambiate (e continueranno molto probabilmente a cambiare), al punto che oggi a ripassare e evidenziare le sue tracce è sempre di più il “tempo libero” dei nuovi utenti e abitanti delle terre alte: il trekking, i cavalli, la mtb. Ma per quale motivo allora sminuirne l’importanza o relegarli a una dimensione troppo “popolare” per diventare “cool”? Ecco forse una risposta parziale: il sentiero di montagna significa “accessibilità”, mentre negli ultimi anni l’uomo in montagna ha ricercato più che altro l’impossibile. Ma siccome come dicono da più parti “ormai i tempi son cambiati”, anche in montagna, perché̀ non tornare a esplorare la montagna attraverso i suoi sentieri, “esplorandoli” a loro volta? Per farlo occorre forse lasciare da parte il bullismo e la vanità d’alta quota (a cui ognuno di noi sembra essere esposto dopo una qualsiasi seppur piccola conquista, come se fosse l’unico linguaggio disponibile dell’esperienza escursionistica), così come anche i valori romantici che ci portiamo dietro da casa con tutte quelle immagini che siamo già predisposti a “riconoscere” e a immortalare in una foto: un pascolo, un lago, una marmotta… dimenticandoci spesso di dove stiamo passando. Esplorare significa anche raggiungere l’imprevedibile e ciò che non conosciamo. In questo senso il sentiero potrebbe essere un canale privilegiato. E non è troppo tardi per far scorrere nuova linfa nelle arterie delle nostre valli, per inondarle di curiosità e di rispetto. Un sangue pulito, umile, che circola lento. E’ sui sentieri infatti che si sono dispiegate infinite vicende vissute, dagli amori alle guerre, dalle fughe ai nuovi arrivi, lasciando tracce di episodi accaduti realmente in un passato oramai remoto. Tutto questo segnalato solo in parte da una toponomastica contemporaneamente letteraria e iper realistica, traccia di fatti accaduti in un passato remoto e da cui forse siamo scollegati (”Piano della battaglia”, “Colle degli amori”). Sono stati i sentieri ad aver traghettato i popoli in transito, e con loro le bestie e i semi che dapprima hanno contribuito a far nascere economie nuove e che hanno finito in un secondo momento per definire i contorni e i paletti identitari di quegli stessi luoghi. Per non parlare delle innovazioni, risultato dell’incontro tra vecchie e nuove usanze: a tutto ciò hanno contribuito senz’altro i sentieri. Oggi li cataloghiamo in gradi di difficoltà, tempi di percorrenza, lunghezza, dislivello, associando loro strati di informazione appartenenti al nostro modo di rappresentare l’esperienza di un’escursione. Ma dov’è finita la qualità di queste esperienze? Cosa ci portiamo a casa a parte le foto e alcune statistiche da prestazione?
Questo è il piccolo manifesto di SweetHiking (l’arte del “Dolce Camminare”), ovvero una breve serie di racconti che lasciano per un momento da parte i numeri e le nozioni, puntando il riflettore non solo su un percorso fisico reale ma anche sui luoghi, le storie e alcuni soggetti incontrati. Insomma, sul suo contesto culturale più ampio. Quindi nel mio viaggio attraverso le realtà della rete Sweet Mountains non mi soffermerò tanto sui sentieri più famosi e battuti delle valli, ma piuttosto sul racconto di una delle tante storie possibili.
E il primo sentiero quindi, direte voi?
Località:Valle Maira
Punto di partenza: Rifugio Campo Base, Chiappera
Destinazione: molteplici
Tempi di percorrenza: i temi a cui si farà riferimento hanno interessato per secoli questi sentieri. Percorrerli implica l’assaggio di epoche diverse
Km: non contati
Attrezzatura consigliata: immaginazione e 5 minuti (per la lettura). L’allenamento ci servirà soltanto per renderci capaci di spostarci lontano (al contrario di ciò che ci esorta ad arrivare primi)
Ma ve lo racconterò sul prossimo numero della rivista…
Matteo Marasco
“La montagna non va lasciata! Basta non far prosciugare i sentieri” (Anonimo)