Élisée Reclus, “Storia di un ruscello”, Elèuthera, Milano 2020, 16 euro.

Élisée Reclus merita una menzione particolare nella galleria delle figure che, tra il XIX e il XX secolo, parteciparono alla nascita del movimento operaio e socialista nelle sue varie articolazioni. Geografo, vegetariano, ecologista ante litteram, militante anarchico e comunardo, Reclus, spinto dalla vorace curiosità intellettuale o costretto all’esilio e alla fuga, spese buona parte dei suoi anni viaggiando e “più spesso cambiando Paese che scarpe”. Nel corso del tempo, lo studioso libertario mise le osservazioni dei diversi ambienti che si trovò a visitare a servizio di una geografia non esclusivamente “fisica” ma capace di mettere in connessione i diversi elementi su cui si fonda la disciplina odierna.
Nella sua ricchissima produzione occupano un posto speciale “Storia di una montagna” (Tararà Edizioni, Verbania, 2008) e la precedente “Storia di un ruscello”, ristampata recentemente da Elèuthera, con i contributi di Marcella Schmidt di Friedberg e Francesco Codello. “Storia di un ruscello” è un’opera che – a oltre 150 anni dalla sua pubblicazione – conserva una freschezza rara e ci offre più di uno spunto fecondo per interrogarci sul nostro rapporto con la natura e con i saperi. Innanzitutto l’autore ci porta alla scoperta di un corso d’acqua, assunto come oggetto di ricerca nella sua dimensione quasi anonima, facendo scaturire dalla sua osservazione una ricostruzione straordinaria della storia del ciclo delle acque, definito da Reclus “immagine stessa  di ogni vita” e al tempo stesso anticipazione di un nuovo ordine sociale. Nel suo accompagnarci lungo sorgenti, cascate e sponde e mettendoci di fronte ai fenomeni naturali nella loro concretezza, il geografo sovversivo impartisce una grande lezione che pone l’esperienza diretta a fondamento del sapere. Un sapere la cui costruzione vede protagonista l’individuo in formazione, soggetto attivo di produzione scientifica e culturale e non destinatario passivo di una trasmissione di conoscenze astratte e decontestualizzate. Le suggestioni che affiorano qui relativamente a percorsi formativi fondati sulla centralità del discente e sull’esplorazione dei diversi ambienti (naturali e non solo) quali spazi educativi risultano particolarmente significativi oggi, soprattutto in riferimento alla imminente riapertura delle scuole successiva al lockdown.
In un dibattito segnato da stucchevoli querelle su linee guida fumose, centimetri da togliere e aggiungere e simili, le parole di Reclus costituiscono un invito a spostare la discussione in direzione di una riflessione matura e compiuta sul senso dell’educazione nella fase attuale.
In questa cornice, la ricostruzione del tragitto di un ruscello diventa ricerca interdisciplinare e anticipatrice di temi e argomenti (biodiversità, inquinamento, sfruttamento selvaggio delle risorse, ecc.) che sono diventati oggetti di dibattito solo recentemente e alla luce dei danni di un modello di sviluppo dissennato.
Lungo il filo della narrazione, inoltre, troviamo importanti riferimenti a un rapporto tra uomo e natura fondato su criteri di reciprocità, rispetto e su quel diritto alla bellezza e alla scoperta che diventa oggi anche diritto alla pienezza del vivere contrapposto alla voragine di valori, significati e principi scavata dalla società dei consumi.
“Storia di un ruscello” è pertanto, per queste e altre ragioni che lascio al lettore il piacere di scoprire, un testo prezioso, ricco e suggestivo, percorso com’è da una forte tensione intellettuale e civile.
Un atteggiamento, quello di Reclus, appassionato e autentico verso la realtà e il suo studio, innervato dalla convinzione profonda che “una montagna che mostra nevi e ghiacciai in pieno cielo al di sopra delle nuvole, una grande foresta in cui rimbomba il vento, un ruscello che scorre tra i prati, spesso hanno fatto più degli eserciti per la salvezza di un popolo”.
Alyosha Matella